Economia

Gli Usa di Donald rischiano la crisi

Il cambio di presidente in Usa coincide sempre con un periodo di recessione. E con Donald la Fed ha le mani legate

Gli Usa di Donald rischiano la crisi

Il conto alla rovescia scadrà alla mezzanotte del 5 maggio prossimo, quando in mancanza di un'intesa al Congresso Usa sul finanziamento delle attività del governo, scatterà il cosiddetto shutdown, ovvero il blocco delle attività federali. Una serrata del cuore pubblico già sperimentata dall'America nel 2013 per 17 giorni, quando 800mila lavoratori statali vennero mandati a casa.

Finora, i mercati non si sono per nulla curati del potenziale pericolo. Del resto, i recenti impeti rialzisti sembrano per buona parte riconducibili a quella che un recente report di Bank of America (Bofa) ha definito «Liquidity Supernova», cioè un'esplosione stellare di liquidità generata dalle politiche ultra-espansive delle banche centrali». La stessa Bofa ha calcolato che, da gennaio, Bce e Bank of Japan hanno comprato asset per 1.000 miliardi di dollari. In proiezione, fanno 3.600 miliardi su base annua. Un record. Che non tiene conto della Cina: col placet di Donald Trump, Pechino ha svalutato fortemente lo yuan nei giorni scorsi inondando il sistema di altra liquidità.

Insomma, un mare di quattrini. E qualcuno ci potrebbe affogare. Come sempre, sarà la Federal Reserve l'arbitro dei destini finanziari (e non solo) del mondo. L'istituto guidato da Janet Yellen vuole alzare i tassi almeno altre due volte entro fine anno, e al contempo ridurre l'enorme stock di titoli del suo portafoglio, quei 4.500 miliardi accumulati dalla crisi dei mutui subprime in poi.

L'economia statunitense ha spalle robuste per reggere il peso di questa duplice scelta? Oppure c'è il rischio di trascinare il Paese (e l'economia globale) in una recessione? Storicamente, gli Stati Uniti hanno quasi sempre vissuto una crisi nell'anno successivo alla nomina del nuovo presidente (vedi grafico). Una maledizione che ha risparmiato solo Ford. Trump è dunque avvisato.

L'economia è del resto fatta di cicli: non si può sempre cadere, nè si può sempre salire. Anche se il virus dei subprime ha creato eccezioni senza precedenti. Tra le più vistose, gli appena due rialzi del costo del denaro decisi dalla Fed nell'ultimo decennio, quando invece le strette erano state venti dal 2000 al 2010 e 35 negli anni Settanta. Ora la Fed vuole rimettere le cose a posto. Ma la normalizzazione della politica monetaria non sarà una passeggiata. Infatti, a dispetto della narrativa corrente, l'America non scoppia di salute. Lo dimostra l'asfittica crescita del Pil nel primo trimestre (+0,7%), periodo in cui Trump era già insediato nello Studio Ovale. Ma anche le chiusure e i licenziamenti (quasi 60mila tra febbraio e marzo) che stanno falcidiando il commercio al dettaglio. E che dire del settore auto? Debiti per 1.100 miliardi, di cui un quarto subprime con tassi di insolvenza ai più alti livelli da sette anni. Senza dimenticare il momento più nero vissuto dai ristoranti dal 2009, segno che gli americani hanno pochi soldi in tasca. Tavoli vuoti che potrebbero portare a tagliare in massa camerieri e baristi, cioè chi ha sorretto finora la crescita occupazionale Usa. E ancora: l'esposizione dei privati verso il mercato azionario è pari al 60% rispetto al totale del portafoglio, mentre è crollato al 23% il peso dei titoli di Stato. Uno sbilanciamento pericoloso se le cose cominciassero ad andare storte. Anche perché sulla reflazione promessa da Trump crescono i dubbi.

La Fed, tuttavia, andrà avanti con la sua politica restrittiva. Fino a quando? Anche in questo caso, ce lo dice la storia: tutti i periodi di irrigidimento delle maglie monetarie sono stati arrestati da uno choc finanziario. Fin dal crac di Wall Street del '29, con i tassi crollati dal 6 a sotto il 2% in poco tempo. In tempi più recenti è successo con la crisi del debito latino-americano (1982), con il crollo delle dotcom (2000) e ovviamente in seguito al virus dei prestiti immobiliari. Impensabile che la Yellen non lo sappia. Per questo, forse si sta portando avanti col lavoro.

Così da avere lo spazio di manovra sufficiente per fronteggiare la prossima emergenza.

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