Era ora: cacciano i fannulloni dall’Università

«Non credo che noi non siamo corresponsabili riguardo ai provvedimenti sull’università da parte dei governi di centrodestra e di centrosinistra. Il 30% dei ricercatori della facoltà di Giurisprudenza non ha prodotto nulla nell’ambito della ricerca scientifica e in generale alla Sapienza il 10% dei ricercatori non ha prodotto nulla in 10 anni. Queste persone vanno cacciate dall’università». Con queste parole durissime, il rettore della Sapienza Luigi Frati ha spezzato un tabù atavico, quello della solidarietà accademica per cui i panni sporchi si lavano in famiglia.
Non che Frati abbia scoperto l’America. In molti dipartimenti, specie nelle facoltà umanistiche, fino a qualche (...)
(...) anno fa, esisteva una legione di ricercatori magari assunti ope legis, cioè senza concorso e valutazione nazionale. All’inizio degli anni Novanta, quando chi scrive frequentava le aule, questi ricercatori notoriamente ricercavano solo il mondo di arrivare a sera senza annoiarsi troppo. L’unica, gravosa (si fa per dire) incombenza era sostenere gli appelli con gli studenti, dare consigli sui piani di studio e poco altro. C’è chi è andato in pensione senza neppure tentare un concorso per diventare almeno associato, forse perché mancante di una adeguata produzione accademica da esibire come titolo di merito. Per carità, il mondo dell’università è complesso, c’è dentro di tutto. Inclusi molti eroi che si ammazzano di fatica nonostante le condizioni economiche poco favorevoli fra stipendi troppo bassi e risibili finanziamenti a progetto, insufficienti per concludere il progetto stesso. Spesso essi sopperiscono con la fantasia, e se possono perfino di tasca propria, alle lacune della istituzione. Hanno quindi ogni ragione di essere insoddisfatti.
Chi tra loro, in questi giorni, si unisce alla protesta degli studenti contro i tagli della riforma Gelmini e della manovra finanziaria sbaglia però obiettivo. Perché il governo mette una pezza a spese troppo a lungo incontrollate, che hanno finito col danneggiare proprio chi vuole studiare, sia egli una matricola o un ricercatore. Le forme di mobilitazione annunciate oscillano poi fra il folklore (tenere gli appelli per strada, possibilmente di notte) e il semplice danno arrecato a chi vorrebbe esercitare il diritto di svolgere regolarmente, nell’ambito della legalità, i propri esami di profitto. Ma i professori non dovrebbero tutelare la dignità dei loro allievi?
Il rettore Frati quindi rincara la dose: «Bisogna reclamare la progressione economica solo per i meritevoli. C’è chi ruba lo stipendio: ci sono persone che lo prendono da anni e non fanno nulla. Facciamo pulizia a casa nostra per avere maggiore autorità morale». Giusto, sacrosanto. Però c’è da rivedere anche dell’altro: il sistema di reclutamento che non pare orientato all’assunzione dei migliori. E magari, tra i capitoli di spesa, si potrebbe dare un’occhiata anche ai costi delle riviste universitarie, incredibilmente moltiplicatesi come funghi negli ultimi anni.

Ogni dipartimento ormai ha la sua: spesso per niente autorevole, funziona come ricettacolo di articoli mediocri ma utili a dare l’impressione che i cervelli siano in costante ebollizione.
Probabilmente, da un’inchiesta del genere, salterebbe fuori che le spese sono fuori controllo, o comunque sproporzionate al valore scientifico della pubblicazione. Chi le finanzia? Anche questi sono sprechi.

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