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Quel gioco sporco della spia Snowden

Così Snowden si trasferisce armi e bagagli a casa del "nemico" mettendogli a disposizione una valigia di segreti

Quel gioco sporco della spia Snowden

«Altro che traditore. Chi crede nella democrazia deve gratitudine a Edward Snowden. Sono uomini come lui che trascinano il mondo in meglio». Il tweet del 28 ottobre conservato nel blog di Gad Lerner è la variante italiota della paradossale confusione che agita il pensiero progressista su scala globale. Un pensiero così abituato a dar per scontata l'insindacabile certezza delle proprie opinioni e l'universale virtù dei propri eroi da non porsi dubbi neppure di fronte al singolare connubio tra un Edward Snowden, eretto a nuovo simbolo delle libertà civili, e un Vladimir Putin dipinto dalla vulgata liberal come il peggior nemico della democrazia.
Un connubio nuovamente alla ribalta da giovedì scorso quando l'ex spione infedele riparato a Mosca accetta il ruolo di reggicoda del proprio protettore nel corso dell'annuale siparietto televisivo in cui zar Vladimir risponde alle domande dei propri sudditi dagli schermi di Russia Today. E lì il povero Edward evidentemente esausto dopo aver trascinato «il mondo in meglio» si trasforma in uno spudorato leccapiedi pronto ad esibire il peggio di sé. Di fronte ad un presidente russo dipinto come il nuovo tiranno colpevole di perseguitare gli oppositori, minacciare l'Ucraina e metter a rischio la stabilità mondiale, l'«eroe» Edward non trova di meglio che chiedergli se anche lui si diletta, come Obama, ad intercettar telefonate e mail dei propri cittadini. Una domanda talmente banale ed inoffensiva, vista l'impossibilità di un contradditorio, da spingere un divertito Putin a ricordargli il comune passato di spie assicurandogli che mai e poi mai si permetterà d'invadere la sfera personale dei cittadini russi.
Di fronte alla piaggeria di questo «salvatore della democrazia» trasformatosi in addomesticato leccapiedi del nuovo padrone qualcuno all'interno di quel mondo liberal così avvezzo alle autocritiche farebbe meglio tornar alle vecchie abitudini. Certo è un passo difficile. Anche perché i tweet un po' avventati sparati sul versante italiano sono ben poca cosa di fronte al Premio Pulitzer elargito su scala mondiale a chi ha spacciato per scoop la scopiazzatura dei documenti trafugati da uno spione infedele. E sono nulla rispetto alla visionaria comicità di Baard Vegar Solhjell e Snorre Vale, due deputati socialisti norvegesi decisi mesi fa a candidarlo al Nobel per la Pace. O alla disinvolta leggerezza con cui tempo fa il deputato di Sinistra e Libertà Claudio Fava, membro del Comitato parlamentare per i servizi segreti, perorava la sua accoglienza in Italia giustificandola come «un atto dovuto per riaffermare l'inviolabilità del diritto alla riservatezza di ogni persona».
Le sviste sul caso Snowden, uno spione che invece di ritirarsi a vita privata si trasferisce armi e bagagli a casa del «nemico» mettendogli a disposizione una valigia di segreti e vendendone altrettanti alla stampa internazionale, sono però sviste assai pericolose. Anche perché fanno il paio con gli errori altrettanto pacchiani e altrettanto pericolosi inanellati negli ultimi anni da quella tribù liberal, benpensante e sinceramente democratica che annovera tra le proprie fila non pochi esponenti di governo europei. La devozione in uno spione elevato a salvatore del mondo va, infatti, di pari passo con la miopia di chi intravvedeva il trionfo della democrazia dietro le rivolte arabe manovrate dal fondamentalismo dei fratelli musulmani. O sognava di metter fine al regime di Bashar Assad armando quei ribelli legati ad Al Qaida che hanno trasformato la Siria in tragico mattatoio.

Dando retta a chi santifica Snowden e compagni si rischia, insomma, di risvegliarci all'inferno sognando il Paradiso.

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