Letteratura

La fiera delle vanità (dell'Occidente)

Il caso del premio rinviato all'autrice palestinese è l'ennesimo segno della nostra debolezza

La fiera delle vanità (dell'Occidente)

La Buchmesse di Francoforte, la più importante fiera d'affari dell'editoria occidentale, è incappata, non per caso, in un incidente che ha oscurato il resto della manifestazione attualmente in corso. Litprom, un'associazione letteraria tedesca, avrebbe dovuto premiare la scrittrice palestinese Adania Shibli con il LiBeraturpreis 2023, un riconoscimento assegnato a un'opera proveniente da «Africa, Asia, America Latina o mondo arabo».

Qualche giorno fa, l'assegnazione viene rinviata (non annullata). Motivo: il gravissimo attacco terroristico di Hamas contro Israele che ha riaperto la guerra in Medio Oriente. Editori e scrittori parlano di censura e si schierano con Shibli. Nel discorso di apertura il marxista Slavoj Zizek è andato giù con l'accetta e sono stati dolori per la Fiera di Francoforte.

La vicenda però resta incomprensibile se non si aprono le pagine del romanzo Un dettaglio minore di Shibli. Ne riassumiamo brevemente la trama affinché ognuno possa farsi una sua idea, naturalmente incompleta, per quella completa è necessario leggere il libro.

La prima parte si svolge nell'estate del 1949. Per i palestinesi sono i mesi successivi alla Nakba, «catastrofe» in arabo, con l'esodo di centinaia di migliaia di persone. Per gli israeliani sono gli albori dell'indipendenza, sancita in via definitiva dalla vittoria sul campo di battaglia contro una coalizione araba. Un'unità militare israeliana, di stanza nel Negev, zona desertica, ha il compito di sorvegliare i confini meridionali. Il comandante, appena arrivato, entra in uno stato allucinatorio dovuto al morso di un animale. Durante una perlustrazione, gli israeliani abbattono un gruppo di arabi disarmati. Rapiscono una ragazzina, la portano alla base come prigioniera, la umiliano pubblicamente, la stuprano e infine la uccidono con sette colpi di pistola. Venticinque anni dopo, in una Palestina descritta come un lager, una pallottola tocca anche alla giornalista che cerca di fare luce sul vecchio caso.

Questo è il romanzo. Un paio di precisazioni. La prima. Il valore letterario ci sembra indiscutibile. Molte pagine lasciano senza fiato e non soltanto quelle violente. Da citare, tra le cose notevoli, le ossessioni e la cancrena del comandante, gli odori acri del campo, il cielo minaccioso sulle dune, il ritmo e la punteggiatura della seconda, travolgente parte. L'altra precisazione. In letteratura non vale la par condicio. Shibli esprime un punto di vista senza compromessi senza il quale neppure potrebbe esistere il romanzo. Un dettaglio minore è stato tradotto in molti Paesi, incluso l'Italia, dove è uscito un paio d'anni fa per la Nave di Teseo, una casa editrice nota per il suo pluralismo (esercitato nei fatti, cioè nel catalogo).

Finite le precisazioni, passiamo ad alcune brevissime considerazioni. Che Un dettaglio minore fosse un romanzo nettamente partigiano era cosa nota a chiunque, soprattutto in Germania, dove la indiretta ma forte militanza filopalestinese non era sfuggita (e come potrebbe?) ai recensori e neppure alla giuria. Il romanzo è stato premiato proprio per questo: l'autrice palestinese Adania Shibli «crea un'opera d'arte composta formalmente e linguisticamente in modo rigoroso che racconta il potere dei confini e ciò che i conflitti violenti causano alle e con le persone». Suona ora un po' ipocrita e pavido, più che censorio, rinviare la consegna a data da destinarsi. D'altro canto sarebbe stato a dir poco fuori luogo consegnare un premio alla storia dello stupro di una civile araba mentre Hamas stupra, rapisce e uccide le civili israeliane.

Non se ne esce. Già, ma perché non se ne esce? Questa storia è uno splendido (si fa per dire) esempio delle condizioni pietose in cui versa la cultura europea, anzi: occidentale. Si premia, con somma leggerezza, un romanzo bruciante perché in fondo chi se ne importa? Le «giuste» cause sono tali per moda e per superficialità. C'è un elenco sterminato nel quale scegliere: sì all'immigrazione selvaggia, sì alla cancel culture in nome dei diritti, sì al multiculturalismo anche se non integra ma disintegra, sì alla censura del linguaggio per non offendere nessuno (tranne i vocabolari). Il filo conduttore è un solido disprezzo per l'Occidente e tra l'altro, non dimentichiamolo, Israele in fondo è Occidente...

Un atteggiamento che dice l'importanza accordata alla cultura, che è nemica delle frasi fatte e del pregiudizio, dal mondo della cultura conformista: nessuna. È solo una scusa per misurare e stabilire i rapporti di forza tra miserabili para-intellettuali in cerca di fama o di denaro o di posti pubblici all'ombra del potere politico.

Palestina libera? Premiamola! Poi Hamas entra di soppiatto in Israele e fa una strage vigliacca: toh, esiste anche la realtà, e quelle battaglie da salotto, nella realtà, si rivelano battaglie da strada, casa per casa, e lasciano una scia di sangue oltre al desiderio di vendetta. E adesso che si fa col premio? Rinviamolo! Sembra un episodio del film Scemo e più scemo.

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