Economia

Friedman, quel «geniale» rivoluzionario

Il padre del monetarismo contrapposto a Keynes: un saggio per capire i meccanismi che governano l’economia

Leggetevelo. È inutile girarci intorno. È forse meno elegante di una dotta recensione. Ma il punto resta: Milton Friedman, una biografia intellettuale, di Antonio Martino (editore Rubbettino, Leonardo Facco) è una splendida e agevole rinfrescata dei principi cari ai liberali. Si tratta di una ripubblicazione, voluta da quel club di caparbi liberisti riuniti nell’Istituto Bruno Leoni, di un lavoro del 1991. E solo in un passo, sfuggito agli editor, in cui si fa cenno a un imminente piano Delors sui cambi fissi, mostra qualche anno. Per il resto, con la scusa di raccontare la biografia di un grande scienziato, Martino ripercorre i capisaldi dell’economia di mercato. Il racconto dei princìpi cari ai liberali si intreccia con la storia del Premio Nobel e con la sua contrapposizione intellettuale al keynesismo imperante.
Figlio di un’Inghilterra che conta Keynes, educato da una sartina immigrata negli Usa Friedman, hanno educazioni e profili contrapposti. A dispetto della vulgata: rivoluzionario Friedman nelle sue teorie della moneta e conservatore Keynes nell’ampia giustificazione intellettuale che la sua Teoria Generale alla fine ha fornito all’establishment e alla politica. Insomma, Martino ribalta i ruoli. «Friedman, ma quale conservatore?» sembra leggersi in ogni pagina del libro. Sin dai suoi esordi. Dalla tesi di dottorato, pubblicata in ritardo proprio per il suo contenuto eterodosso: la grande critica agli ordini professionali. Vi dice qualcosa? Data 1941.
E ancora l’interpretazione corretta della Grande Depressione americana. Da storico della moneta, l’economista di Chicago ricorda come il ’29 non sia figlio di un «fallimento del mercato». Al contrario, sia stato cagionato da una politica troppo restrittiva della Fed. La banca centrale americana ha aggravato e infuocato una grave recessione. E la politica con le scelte di protezionsmo dei commerci (siamo ormai negli anni 30) ha alimentato la crisi. Insomma se di fallimenti si deve parlare, quelli sono dello Stato.
La biografia di Friedman è dunque un’abile scusa, per un lettore anche non molto addentro alle teorie della moneta, per imparare le basi dell’economia. Scarnificata fino all’osso, e chiara dunque per chiunque, la teoria del consumo e del risparmio. E la critica a quel sinistro luogo comune secondo il quale più si è ricchi e più si risparmia, «incriccando» il funzionamento ottimale dei meccanismi capitalistici. Interessante, soprattutto per i non addetti ai lavori, la descrizione della scuola dei «monetaristi», una definizione che al Nostro non è mai piaciuta. E ancora la suggestiva confutazione della «supremazia dell’immediato» nelle scelte dei singoli di keynesiana memoria: «Nel lungo periodo siamo tutti morti» diceva infatti l’economista inglese. Che «sciocchezza» hanno pensato per anni dall’altra parte dell’Oceano.


Chi scrive non ha royalties, ma l’invito resta: leggetevelo.

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