Politica

Ma il futuro ha bisogno di contenuti

Il successo organizzativo e diplomatico del G8 e degli altri Paesi emergenti è talmente sotto gli occhi di tutti che volerlo sottolineare ancora ci farebbe cadere in una sciocca adulazione della presidenza italiana. Alcuni successi diplomatici che aprono una nuova frontiera vanno, però, sottolineati come ad esempio la stretta di mano tra Barack Obama e Gheddafi e l’aver preso comune coscienza che il G8 è uno strumento che ha fatto ormai il suo tempo. Aver segnato la fine dell’unilateralismo americano e avere indicato nel G14 (i vecchi otto Paesi e Brasile, Messico, Cina, India, Sud Africa e Corea del Sud) la sede nella quale la politica si può riappropriare dell’onere di governare il mondo senza lasciarlo alla finanza può essere un passo in avanti significativo. Non ci sfugge che il successo del summit aquilano è stato agevolato dalla grave crisi economica mondiale e dall’esigenza del presidente americano di voltar pagina rispetto agli otto anni della presidenza di George W. Bush. Due circostanze favorevoli, dunque, ma sulle quali è stata costruita con sapienza una griglia di partenza di un nuovo ordine mondiale. Detto questo, però, la strada della concretezza è ancora lontana. Nella dichiarazione dei leader del G8 alla fine della prima giornata si può leggere che i rispettivi Paesi «promuoveranno un’economia mondiale aperta, sostenibile e giusta». C’è qualcuno nel mondo che vorrebbe invece perseguire un’economia chiusa, insostenibile e ingiusta? È una battuta, naturalmente la nostra, ma serve solo per dire che come sempre in politica la differenza non la fanno gli obiettivi, ma gli strumenti necessari per raggiungerli e la loro tempistica. Per superare la crisi finanziaria ed economica non basta ad esempio immaginare «standard globali di integrità e di trasparenza delle attività economiche» o, per dirla con Tremonti, garantire ad un’economia globale un diritto globale. C’è qualcosa di più e di diverso che va fatto e che non è ancora emerso con chiarezza. È la disciplina dei mercati finanziari cui vanno impedite alcune cose oltre che omologarne le regole. È possibile, ad esempio, impedire le «scommesse» sul ribasso o sul rialzo dei prezzi delle materie prime o l’immissione nel mercato retail dei cosiddetti derivati diventati strumenti di speculazione e di corruzione? Il cuore del problema, insomma, è che la finanza rientri nella sua naturale funzione di sostegno alla produzione di beni e servizi, fermo restando un’area di profittabilità tutta finanziaria, senza però scivolare in quell’industria del denaro che arricchisce pochi e impoverisce immense masse popolari e interi Paesi. L’etica, nella vita come nell’economia, è un patrimonio individuale, ma le regole ed i divieti possono agevolarne la diffusione di massa. Un approccio di questo genere potrà allora giustificare le centinaia di migliaia di miliardi di dollari necessari per risanare il sistema bancario e far ripartire l’economia mondiale. Diversamente sarebbe difficile contenere l’indignazione di un’opinione pubblica mondiale dinanzi al fatto che agli africani si danno 20 miliardi di dollari per non morire e cento volte tanto a chi si è arricchito e continua ad arricchirsi. Il diverso atteggiamento americano sulle questioni del cambiamento climatico è, inoltre, un’indubbia accelerazione nel cercare e trovare nuovi strumenti per frenare il degrado ambientale ma dire che entro il 2050 si può tollerare solo un aumento di 2 gradi del riscaldamento della Terra o impegnarsi, negli otto Paesi industrializzati, a ridurre il 50 per cento delle emissioni di Co2, sempre entro il 2050, senza indicare tappe intermedie è troppo generico. Così come quasi nulla abbiamo sentito sul nuovo ordine monetario più che mai urgente per la fine annunciata dell’egemonia del dollaro come moneta di riserva e che a nostro giudizio richiede un sistema come quello del serpente monetario europeo tra le sei sette valute più importanti del mondo. Mercati finanziari, clima, sviluppo economico e commercio internazionale sono tutti titoli di capitoli fondamentali per il futuro della Terra e vanno al più presto riempiti di contenuti concreti. Siamo a due anni dallo scoppio della crisi dei mutui subprime americani e nel concreto siamo ancora al «caro amico». Mentre diciamo questo ricordiamo a noi stessi e agli altri che la politica e la democrazia son cose diverse dalle decisioni che ognuno di noi prende ogni giorno. Cercare soluzioni a problemi così vasti e trovare il consenso di larga parte del mondo è faticoso, ma è compito ineludibile della politica.

Già nel G20 del prossimo settembre a Pittsburgh è molto probabile che decisioni concrete verranno prese e solo allora toccheremo con mano il vero grande valore dell’ultimo G8 perché senza L’Aquila la Pittsburgh concreta non sarebbe mai arrivata.

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