Cronache

Giustizia a doppio binario Il Csm non tutela i giudici attaccati da Travaglio

Il vice direttore del "Fatto" mette in dubbio imparzialità e correttezza di tre giudici palermitani. Ma il plenum archivia il procedimento

Giustizia a doppio binario 
Il Csm non tutela i giudici 
attaccati da Travaglio

Roma Il Csm, tanto solerte nel proteggere certi magistrati, per altri non muove un dito. Dipende anche, a quanto sembra, da chi lancia gli insulti e da chi è l’accusato.
In questo caso, da una parte c’è il presidente della Corte d’Appello di Palermo Claudio Dall’Acqua e i due giudici a latere del processo Dell’Utri e dall’altro Marco Travaglio, che li ha pesantemente attaccati su «Il fatto quotidiano» e «L’Espresso» (poi ripresi da altri mass media), mettendone in dubbio imparzialità e correttezza.
Ieri il plenum del Csm ha deciso di archiviare la pratica a tutela dei tre giudici palermitani, chiesta a giugno dal laico del Pdl Gianfranco Anedda, che parlava di «chiara intimidazione» e dallo stesso Dall’Acqua, che denunciava una pesante lesione dell’«onorabilità» del collegio.
Eppure, lo stesso Csm riconosce che Travaglio ha scatenato una pesante «campagna denigratoria» contro i magistrati, che furono addirittura costrette a difendersi, con un comunicato letto in aula nella penultima udienza, rivendicando la loro «assoluta indipendenza e autonomia di giudizio».

«La Corte non fa mistero di una gran voglia di assolverlo, almeno a giudicare dalle ordinanze con cui ha rigettato quasi tutte le richieste dell’accusa», scriveva il giornalista riferendosi al senatore Pdl, solo 3 giorni prima della sentenza che l’ha condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Aggiungeva, «maliziosamente» scrive il Csm, amenità sui figli di Dall’Acqua: uno reo di fare l’ingegnere nell’azienda di un tale ritenuto prestanome di un mafioso (malgrado si fosse dimesso subito dopo l’arresto dell’interessato) e l’altro segretario generale del Comune di Palermo targato Pdl. Per finire, altre insinuazioni sui due giudici a latere.
La Prima Commissione del Csm, senza fretta, in autunno ha proposto di chiudere tutto, con i voti favorevoli del laico Pd Guido Calvi e dei due togati delle correnti di sinistra Paolo Carfì e Roberto Rossi e l’unica astensione dell’indipendente Paolo Corder. Ma una raccolta di firme, voluta dai togati della corrente moderata Magistratura indipendente guidati da Tommaso Virga, ha preteso che decidesse il plenum.

Così è stato: la decisione non è stata ribaltata, ma l’assemblea si è spaccata in 2 ore di accesa discussione: 13 sì, 5 no (3 togati di Mi, uno di Unicost e Corder) e 5 astenuti (4 laici Pdl e Nappi del Movimento).
La pratica è stata archiviata con una strana motivazione: le aggressioni «sul piano professionale e familiare» ai giudici palermitani sono gravi e «strumentali», degli interessati va lodata la «condotta esemplare» e, «tuttavia», non ci sono i presupposti per aprire una pratica per la loro tutela.
Perché? Perché gli attacchi non hanno avuto grande diffusione sui mass media e così non hanno provocato «un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria». Non lo hanno determinato? E, usando un’espressione ormai abusata, se non ora quando?

«In questo caso - dice Corder - gli estremi per la pratica c’erano tutti. Soprattutto, perché le accuse sono state lanciate alla vigilia di una così delicata sentenza». Una sentenza dal peso politico. Ma qualcuno, sull’altro fronte, ha sottolineato che gli attacchi non sono venuti «da una carica istituzionale, dal premier ad esempio» e quindi il danno è limitato. Chissà se Dall’Acqua la pensa così.
I laici del Pdl si sono astenuti, perché contestano l’istituto stesso delle pratiche a tutela. «Ma per noi - dice Bartolomeo Romano - questa è la prova che ne viene fatto un uso strumentale e arbitrario. Due pesi e due misure: De Pasquale va tutelato contro Berlusconi, Dall’Acqua non va difeso da Travaglio. Se è così, tanto vale abolirle».
Paradossalmente, lo stesso Dall’Acqua ha spianato la strada all’archiviazione, affermando che il collegio «è rimasto del tutto indifferente» agli attacchi.

A volte, resistere alle pressioni è quasi una colpa.

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