Economia

Il «grande cuore» della famiglia Castelli

Il «grande cuore» della famiglia Castelli

Il nome dell’azienda è abbastanza curioso: «Et Medical Devices». Sembra un misto di parole francesi e inglesi o, se vogliamo, un misto di latino e inglese. Ma se «medical devices» ha il chiaro significato di dispositivi medici, è quell’Et iniziale a portare decisamente fuori strada.
Si tratta infatti di una sigla che vuol dire Elettronica trentina. Quindi siamo di fronte non a un’azienda straniera ma a un’impresa del Trentino che opera nel biomedicale. Anzi, è leader in Italia e tra le prime al mondo con i marchi «Cardioline» e «Cardiette» in una precisa nicchia di mercato, quella dell’elettrocardiografia. La Et Medical Devices produce cioè elettrocardiografi, sistemi di prova da sforzo, holters cardiaci e pressori. Ancora meglio: produce soluzioni per la diagnostica cardiovascolare. Un esempio? Il nuovo cuore artificiale italiano, più esattamente ventricolo assistito, sperimentato pochi mesi fa in un ospedale tedesco della Ruhr, su un paziente tedesco e ad opera di un’équipe tedesca, quella del cardiochirurgo Koerfer, è realizzato grazie alla componente elettronica dell’azienda trentina.
Lassù, in montagna. E qui sta un altro aspetto abbastanza curioso: la Et Medical Devices è radicata da più di quarant’anni nel Trentino, a Cavareno, in Val di Non. Produce quindi alta tecnologia in un paesino di montagna distante dai grandi centri di ricerca. Ma, spiega Guido Castelli, consigliere dell’azienda, «questo non è un problema. Grazie agli attuali sistemi di comunicazione, molte barriere sono cadute».
Certo, ma ieri? E qui spunta un altro aspetto curioso: la Et Medical Devices nasce nel 1962 in Val di Non in quanto il suo fondatore, Arrigo Castelli, conosce proprio a Cavareno quella che diventerà poi sua moglie, Liliana Nava, una milanese sfollata in quella zona durante la guerra. E nasce con un nome diverso, Elettronica trentina, da una costola di un’altra azienda a quei tempi molto famosa, la Magnetofoni Castelli. Già, perché Arrigo Castelli, che oggi ha 86 anni e vive a Lugano, è l’uomo che ha brevettato il nome magnetofono e introdotto il sistema di registrazioni, inizialmente su filo di acciaio e in seguito su nastro magnetico. Ed è sempre lui che realizza col marchio Geloso il famoso «gelosino», un magnetofono portatile dal prezzo alla portata di tutti.
«È sempre stato un tipo speciale», ricorda una sorella di Arrigo, Sarah Magnus Castelli.
I magnifici cinque. All’inizio della storia c’è quindi Arrigo Castelli, figlio del direttore di una cartiera di Verona con duemila operai, Attilio, e primo di cinque tra fratelli e sorelle. I «magnifici cinque», come erano allora chiamati in famiglia, sono oggi in tre. Racconta Sarah, la sorella: «Arrigo era sempre occupato a fare qualcosa. E se non faceva, si incantava a guardare per aria. Pensava. E tutti gli credevano». È comunque un genio. Nel solaio della casa di campagna, a S. Lucia di Valeggio, costruisce una apparecchiatura con cui parla con i radioamatori e con cui la famiglia ascolta durante la guerra Radio Londra.
La cantina di Como. Nel 1947, nella cantina della villa di uno zio, a Como, Arrigo lavora inseguendo un suo sogno: registrare voci e suoni su un filo di acciaio. E ci riesce. Dice: «Ho registrato un fruscio da me provocato». E da quel fruscio passa ben presto a registrare anche la voce. Così fonda la Magnetofoni Castelli e insieme ai fratelli e al cugino Pino inizia la produzione in un piccolo capannone in via Marco Aurelio a Milano. Va quindi in fiera con quel prodotto ed è un successo. Cresce la produzione, l’azienda si insedia prima a Linate, quindi a Vignate, poi apre un altro stabilimento in provincia di Cremona. Grazie all’accordo con il proprietario della Geloso, il registratore esce con il marchio Geloso, ma anche con il marchio Magnetofoni Castelli. E poi produce anche per conto terzi, dalla Brionvega alla tedesca Schneider e alla francese Thompson, aprendo altri due stabilimenti in Francia e Spagna. Insomma, la crescita è robusta: più di duemila apparecchi al giorno con quasi 1600 dipendenti.
Nel frattempo Arrigo viene contattato da Padre Agostino Gemelli, il fondatore della Cattolica, per sviluppare un prototipo di elettrocardiografo. Ed accetta la sfida, arrivando a realizzare il primo elettrocardiografo scrivente. Fonda così nel 1962 la Elettronica trentina in Val di Non ed inizia a produrre questi strumenti con 140 dipendenti e il marchio «Cardioline». Una modesta attività rispetto al core business costituito dai registratori. Ma quando nei primi anni Ottanta l’Europa è invasa dai registratori realizzati nel Sud-Est asiatico, la Magnetofoni Castelli finisce rapidamente in cattive acque: Arrigo smantella allora la produzione, vende tutta la tecnologia ai sovietici che costruiscono uno stabilimento in Ucraina, e si concentra nelle apparecchiature elettromedicali effettuate in Val di Non. Ad un certo momento, nella seconda metà degli anni Ottanta, c’è anche la separazione di Arrigo dal cugino e così i due rami della famiglia si trovano ad essere concorrenti nel biomedicale. E concorrenti proprio negli elettrocardiografi: il cugino a Milano con la società Remco Italia e il marchio «Cardioline» e Arrigo in Val di Non con la Elettronica trentina e il marchio «Cardiette». Una concorrenza durata più di una quindicina d’anni. Fino al dicembre 2005, allorché la Elettronica trentina assorbe la Remco e dà vita alla Et Medical Devices. Con 102 dipendenti (una cinquantina nella sede di Milano dove sono concentrati marketing e vendite), due laboratori di ricerca (nel Trentino la ricerca su nuove apparecchiature mentre Milano si occupa di software applicativi), stabilimento a Cavareno, fatturato di 15 milioni di euro di cui il 65% grazie all’export, filiali a Padova, Bologna, Napoli e Monaco di Baviera.
L’80% della proprietà è nelle mani dei quattro figli di Arrigo (Serena, Patrizia, Attilio come il nonno, Guido) e per il 20% del Mediocredito Trentino-Alto Adige.
I radar del Tornado. Attilio e Guido Castelli, più razionale il primo, più estroverso il secondo, sono i due operativi della Et Medical Devices. Attilio, 1955, laurea in ingegneria elettronica al Politecnico di Zurigo, esperienze nello sviluppo del radar del Tornado prima di entrare nel 1985 in azienda, è il presidente della società. Guido, il fratello più giovane di quattro anni, è laureato in scienze politiche alla Statale di Milano e si occupa del controllo di gestione. Ma entrambi fanno la spola tra Milano e il Trentino. Tanto più che Attilio ha la famiglia nel capoluogo lombardo (due figli, Giacomo e Sofia, e la moglie, Silvia Rezzaghi, che segue il marketing dell’azienda) mentre Guido, un accanito fumatore con una compagna di nome Tatiana che vive a Mosca, è residente a Cavareno.
La telemedicina. Sono loro ad avere dato vita alla nuova strategia dell’azienda: lasciando il marchio «Cardioline» per i prodotti e utilizzando quello «Cardiette» nella telemedicina, entrando nel mercato «home & self care» attraverso soluzioni innovative per il trattamento delle malattie cardiovascolari, collaborando con vari centri di ricerca, da Milano a Lione, da Trento ad Hannover. E ampliando il portafoglio delle applicazioni, dai fibrillatori alla misurazione della glicemia nel sangue. Fino al nuovo cuore artificiale che, spiega Attilio, «è il primo ad avvicinarsi il più possibile al sistema cardiocircolatorio in quanto pulsa veramente. Si sostituisce al ventricolo ed è pensato per i malati in attesa di trapianto».


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