Guerra in Israele

Rischio escalation e gli errori di Biden: le analisi degli esperti sull'attacco dell'Iran

Secondo analisti ed esperti della comunità internazionale, da un lato l'Iran ha dimostrato di non voler andare oltre la "linea rossa", mentre dall'altro l'amministrazione Usa ha perso il controllo della situazione in Medio Oriente

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Nelle ore successive all’attacco iraniano contro Israele, la comunità internazionale e gli esperti sono al lavoro per cercare di prevedere cosa accadrà e se la situazione degenererà in una spirale bellica. Questo pomeriggio, il Gabinetto di guerra dello Stato ebraico si riunirà per stabilire come procedere, mentre l’amministrazione Biden sta facendo pressioni affinché Tel Aviv non decida di intraprendere un’azione militare contro Teheran.

È proprio contro il governo degli Stati Uniti che si è scagliato Sean McFate, secondo cui l’attacco della Repubblica islamica ha dimostrato “come l'amministrazione Biden abbia perso il controllo del conflitto di Gaza”. In un’intervista a Business Insider, l’esperto di sicurezza nazionale ha spiegato che “lo sfacciato rifiuto da parte dell'Iran dell'avvertimento di Biden potrebbe essere il risultato di una serie di mosse strategiche incoerenti da parte degli Stati Uniti nella gestione della guerra Israele-Gaza” e che la raffica di raid sia stato un “duro promemoria” dell’incapacità di Washington di contenere le tensioni in Medio Oriente.

Con la guerra a Gaza, gli Stati Uniti si sono incuneati nella battaglia e finora hanno mostrato messaggi contrastanti al mondo attraverso il loro sostegno militare a Israele e il simultaneo aiuto umanitario a Gaza, lasciando i paesi del Golfo come l'Iran a sentirsi più sulla difensiva”, ha continuato l’esperto, sottolineando come questo comportamento stia mostrando al mondo che la squadra di Biden non ha competenze strategiche. “Durante tutto il ciclo elettorale del 2024, Biden ha affermato che gli Stati Uniti devono mantenere il proprio sostegno all'Ucraina contro l'aggressione russa. Ma il sostegno del presidente a Israele va contro le ragioni per cui ha affermato che gli Stati Uniti dovrebbero sostenere l'Ucraina”, ha concluso.

Per quanto riguarda l’attacco dell’Iran, il generale Marco Bertolini ha spiegato che si è trattato della dimostrazione della mancanza di volontà di Teheran di superare la “linea rossa” con azioni particolarmente pericolose. “Ha lanciato prima i droni, che sono i mezzi più lenti: è stata un po’ una ‘telefonata’, ci hanno messo ore ad arrivare”, ha commentato l’ex comandante del Covi (Comando operativo vertice interforze. “Il sistema di difesa è stato preallertato e solo a quel punto sono stati lanciati i missili. Se avesse voluto fare male, avrebbe lanciato subito i missili per primi, in modo da cogliere di sorpresa il sistema di difesa”. Il generale ha paragonato la situazione a quella successiva all’uccisione in Iraq di Qasem Soleimani, quando l’Iran ha risposto con attacchi alle basi statunitensi che hanno avuto risultati puramente simbolici. Bertolini ha inoltre spiegato che il raid deciso dagli ayatollah potrebbe avere conseguenze controproducenti, sia per una possibile escalation, sia perché agli occhi della comunità internazionale sembrerà un fallimento dati i risultati pressoché nulli.

Anche secondo Gianpiero Massolo, ex segretario generale della Farnesina, con questo attacco Teheran ha voluto puntare più sulla visibilità che sull’efficacia. “L'Iran è troppo debole, ha una situazione interna difficile e un'opinione pubblica al limite della sopportazione. Il programma nucleare, per quanto avanzato, non è ultimato, e gli ayatollah perdendo il confronto perderebbero il potere e farebbero collassare il sistema costruito nel 1979”, ha affermato all’Adnkronos, sottolineando come il successo maggiore ottenuto dalla Repubblica islamica sia stato dimostrare la sua forza e il suo coordinamento con i vari proxy nella regione. Allo stesso tempo, Massolo ha spiegato che anche Israele ha potuto mostrare l’efficacia del suo sistema difensivo e la solidità dell’alleanza difensiva con gli Stati Uniti. Il punto principale, ora, è che Washington e “i Paesi amici di Israele spingano per una reazione ‘negoziata’”, affinché nessuna delle parti si spinga oltre il punto di non ritorno.

Riguardo alle possibili mosse di Israele, il professore di storia del Mediorente Meir Litvak ha affermato che lo Stato ebraico teme "che la mancata risposta all'attacco possa proiettare debolezza, cosa molto problematica" nella regione. L'esperto di Iran ha anche sottolineato la complessità di reagire "senza portare a un'escalation su larga scala". Dopo il raid del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, il docente aveva paventato il rischio di una "situazione fuori controllo" e ad oggi non sa dire con certezza se la guerra sia evitabile: "Dipende dalla rappresaglia di Israele e dalla risposta iraniana.

Dipende anche dalle pressioni americane su Israele e dalle pressioni parallele sull'Iran affinché non provochi un'ulteriore escalation".

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