Economia

I cantieri eterni costano 5 miliardi Potevamo pagarci le tasse sulla casa

Una nostra inchiesta rivela quanti soldi sono stati buttati per le quasi 900 opere incompiute. Tutte a carico dei contribuenti

I cantieri eterni costano 5 miliardi Potevamo pagarci le tasse sulla casa

La madre di tutte le incompiute italiane è l'idrovia Padova-Venezia, un canale navigabile destinato a collegare la laguna veneta alla zona industriale di Padova. Il progetto e i primi stanziamenti sono del lontano 1963 e fa quasi tenerezza ricordare che a suo tempo lo Stato, i Comuni e le Province interessate misero sul tavolo quasi otto miliardi (di lire, naturalmente), con il fermo impegno di finire tutto entro i primi anni Settanta. Invece siamo ancora qui a parlarne: dopo molte traversie i lavori cessarono nel 1985, su 27 chilometri previsti ne sono stati realizzati 11, ci sono ponti e chiuse ma ad un certo punto il tracciato finisce nel nulla. D'estate il canale è buono per gite in motoscafo e per prendere il sole, di notte le rive sono frequentate da prostitute e clienti. La possibilità di usufruire di fondi europei ha di recente riaperto la partita: l'anno scorso si è svolta la gara per una nuova «progettazione preliminare» (preliminare! Dopo 50 anni). Poi di nuovo il progetto sembra essersi inabissato tra convegni di studio, raccolte di firme contro o a favore. Quanto è costato agli italiani il sogno di un Canale di Suez lagunare? Come minimo centinaia di milioni di euro, anche se, visto il tempo trascorso, nessuno si azzarda a fare conteggi precisi. L'unica cosa sicura è che per completarlo, secondo la Regione Veneto, di milioni ne servirebbero ancora 500 o giù di lì.

La storia dell'Idrovia è una delle 868 raccontate dall'Anagrafe delle opere incompiute, la fotografia ufficiale di un'Italia in stato confusionale, che spende soldi per progetti faraonici, salvo poi dimenticarseli per strada, o decidere che tutto sommato non le servono più. Introdotta da una legge del 2011, ma diventata operativa dopo più di due anni, l'Anagrafe ha avuto una partenza lenta. Regioni e Province autonome hanno l'obbligo di comunicare ogni 12 mesi al ministero delle Infrastrutture l'elenco e i dati delle opere iniziate e non terminate. All'obbligo non si accompagna però una sanzione. E quindi ognuno comunica un po' quello che vuole. L'anno scorso i cantieri «eterni» censiti erano 692, nel 2015 sono già diventati quasi 200 in più. Il «merito», se così si può dire, è da attribuire in larga parte alla Regione Sicilia, che l'anno scorso denunciava 65 opere non terminate e quest'anno è già arrivata a quota 215 (un'incompiuta su quattro del totale nazionale). Una maggiore attenzione a cui peraltro sfuggono ancora capolavori di insipienza tecnico-amministrativa diventati casi di scuola. Nell'elenco siciliano non sono per esempio citati la città morta di Giarre, in provincia di Catania (una decina le incompiute, compreso l'ormai celebre stadio per il Polo), oppure la diga di Blufi, in provincia di Palermo: doveva fornire acqua a tutta la Sicilia centro-occidentale, i lavori sono iniziati più di 30 anni fa, e dopo essere costata qualche centinaio di milioni di euro è oggi abbandonata a se stessa.

LA CLASSIFICA

La prima opera ad essere incompiuta è dunque l'Anagrafe. Eppure, con i suoi limiti e le sue dimenticanze, consente per la prima volta di dare un valore, approssimato e prudenziale, alle risorse che gli italiani stanno buttando in cantieri aperti e mai chiusi. Per limitarsi alle 868 opere citate nell'elenco del ministero delle Infrastrutture, si arriva alla cifra di quasi 5 miliardi di euro: miliardi sottratti ad altri usi, e più o meno pari a una volta e mezzo l'importo delle tasse sulla prima casa. In testa alla classifica per valore delle incompiute ci sono opere di cui le cronache si sono occupate spesso. Al primo posto l'ormai mitica Città del Sport di Tor Vergata a Roma (costo 608 milioni). Iniziata nel 2005 doveva essere pronta per i mondiali di nuoto del 2009. Il progetto non badava a spese: due palazzetti dello sport, due laghi artificiali, piscine all'aperto, piste di atletica e altri impianti. A dominare il tutto una torre di 90 metri destinata a ospitare in tutta modestia il Rettorato dell'Università di Tor Vergata. Affidata all'architetto Santiago Calatrava la cittadella è oggi abbandonata, anche se la candidatura romana alle Olimpiadi ripropone il problema del completamento. Con un dettaglio: per finire il tutto servirebbero, secondo alcune stime, altri 500 milioni. Un affare da 260 milioni è invece il rudere della diga di Gimigliano sul fiume Melito, in provincia di Catanzaro. Il via libera della Cassa per il Mezzogiorno è del 1982. Da allora si sono succeduti stop ai lavori e ricorsi giudiziari. L'ultima scadenza era prevista per il 2015. Come ovvio non è stata rispettata. A seguire ci sono i 165 milioni buttati per la ferrovia Ferrandina-Matera, unico capoluogo italiano senza collegamento con la rete nazionale: sono finiti i soldi anche perché si è scoperto che il percorso scelto correva su terreni geologicamente instabili. Poi c'è la variante lastricata d'oro della strada regionale toscana 429 tra Empoli è Castelfiorentino (17 chilometri già costati 97 milioni) e il Palazzo del Cinema del Lido di Venezia: chissà perché, era stato finanziato con il soldi delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, nel 2011. Poi il rubinetto dei soldi si è chiuso e per di più si è scoperto che il terreno su cui si stava scavando era pieno di amianto. Risultato: tutto fermo e 84 milioni sacrificati sull'altare dell'improvvisazione.

SE CONTA SOLO IL BELLO

«Ogni caso è diverso ma la ragione di fondo che blocca i lavori è spesso identica», spiega Andrea Mascolini, direttore dell'Oice, l'associazione delle società di ingegneria aderenti a Confindustria. «L'approccio è puramente architettonico. Si guarda al bel progetto, non si fanno i rilievi per valutare la fattibilità, non si valutano adeguatamente i tempi, i costi e i necessari finanziamenti». La paralisi riguarda le grandi opere ma anche quelle piccole. Se si guarda alla lista delle già citate 215 incompiute siciliane si nota che la gran parte sono interventi da pochi milioni, concessi a pioggia su tutto il territorio, soldi sparsi qua e là senza il minimo sforzo di individuare delle priorità. «Sì, perché oltre alla distinzione tra opere compiute e incompiute ce n'è un'altra ancora più importante, quella tra opere utili e inutili», spiega Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti. E non è un caso che nelle intenzioni, ribadite di recente dal ministro alle Infrastrutture Graziano Del Rio, all'istituzione dell'Anagrafe debba fare seguito l'istituzione di una task force che scelga e segua passo dopo passo le opere meritevoli di completamento, e lasci al definitivo oblio le altre.

I NUOVI APPALTI

Nel prossimo futuro la rivoluzione potrebbe arrivare dalla riforma degli appalti, il cui via libera è in calendario per la prima parte del 2016. Quali le novità in grado di cambiare le regole del gioco? Cadrà il principio dell'offerta al massimo ribasso (i lavori sono assegnati a chi chiede meno soldi) che spiega oggi l'immediata richiesta di varianti con relative variazioni di prezzo. In futuro a vincere sarà «l'offerta economicamente più vantaggiosa», che sarà valutata tenendo conto del rapporto qualità-prezzo. I progetti, poi, dovranno essere completi, occuparsi, cioè, anche degli aspetti esecutivi. Infine cadrà la norma che garantisce ai dipendenti pubblici il 2% del valore dell'opera se contribuiscono a progettarla. Una disposizione che si proponeva di favorire il risparmio sulle consulenze, ma è diventata fonte di abusi e approssimazione.

La speranza è che l'Italia diventi come un'enorme Zurigo: l'anno scorso è stato completato il passante ferroviario della città svizzera: ci sono voluti 7 anni di lavoro (non un giorno in più del previsto) e 2 miliardi di franchi.

Non uno in più di quanto messo in preventivo.

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