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Così gli ecomostri si mangiano 600 miliardi di investimenti

La tassa occulta per i lavori mai finiti. Ecco le storie che ci fanno vergognare

Così gli ecomostri si mangiano 600 miliardi di investimenti

Sulla carta sono progetti splendidi. Rendering avveniristici che danno respiro europeo alle città italiane. Sulla carta, appunto. Nella realtà sono cantieri mollati a metà, colossi in cemento che deturpano il paesaggio e opere mastodontiche del tutto inutili.

Benvenuti nel regno dei nuovi ecomostri. Alcuni in costruzione da trent'anni, altri finiti e mai utilizzati, perché forse non erano poi così utili. A scavare tra progetti, appalti, sub appalti e finanziamenti alle grandi opere, ci si rende conto di come alcune infrastrutture siano state volute o tirate su con la stessa leggerezza con cui si costruisce una casetta di Lego. Con risultati deleteri per le casse pubbliche e l'economia del Paese.

La società di ricerca Agici, nell'ultimo rapporto annuale sulle infrastrutture mai costruite, calcola che i costi del non-fare pesano come un macigno sulle chance di crescita dell'Italia, causando danni e mancati introiti anche al settore privato. Qualcosa come 606 miliardi di euro dal 2016 al 2030. Nell'elenco del non-fatto ci sono gli adeguamenti ambientali rimandati e gli investimenti «un po' sì e un po' no» sulla banda ultra larga, che rappresentano un costo di 370 miliardi in 15 anni. E poi ci sono anche i monumenti allo spreco, rimasti ad arrugginire per anni e imbrigliati in vicende giudiziarie, verifiche sui terreni fatte solo a posteriori (dalla friabilità alla presenza di amianto). Nella maggior parte dei casi i cantieri vengono sospesi per mancanza di fondi. All'inizio si calcola una spesa ma, guarda un po', servono sempre soldi in più, tanti soldi in più. E allora tutto si ferma: sia che si tratti di un ospedale, sia che si tratti di un collegamento ferroviario o di un teatro.

Abbiamo raccolto qualche storia di ecomostri, almeno quelli che ci sono sembrati i casi più clamorosi: tra questi anche l'ovovia di Venezia montata sul ponte di Calatrava sul Canal Grande. Che, pur non essendo un'opera mastodontica, racconta una storia di sprechi e malagestione.

E poi c'è la storia del teatro di Sciacca (Agrigento), finalmente pronto dopo 40 anni ma inutilizzato perché scarseggiano le idee sugli spettacoli da proporre sul palco. O ancora c'è la storia della stazione fantasma di Matera che, pur essendo la città eletta capitale della Cultura per il 2019, non ha ancora i treni collegati alla rete nazionale.

A Roma, gli abitanti di Tor Vergata guardano dalla finestra un'assurda struttura di cemento e acciaio e si chiedono ancora cosa sia e che fine farà. È la Vela e avrebbe dovuto essere una cittadella del nuoto per ospitare gli atleti di tutto il mondo e riqualificare la città. È diventato invece il simbolo di un immane spreco di denaro ed ora è a un punto morto: abbatterla costa troppo, completare il progetto costa ancora di più. Tanto che si sta pensando a un progetto alternativo al pala sport, che non richieda troppi finanziamenti, tipo l'apertura di aule universitarie e laboratori, che almeno avrebbero una funzione sociale.

Complicatissima la vicenda del nuovo palazzo del Cinema al Lido di Venezia di cui, di fatto, resta solo un grosso buco, nel terreno e nei conti. Tutti questi casi sono stati elencati anche dal ministero delle Infrastrutture nel data base dei grandi incompiuti. Alcuni sono in via di sblocco, altri hanno un futuro molto più incerto.

Una nota positiva però c'è: il 2016 ha rappresentato una sorta di spartiacque per la storia delle «infrastrutture della vergogna». È l'anno in cui sono state concluse le tre opere che per anni sono state il volto della paralisi delle grandi opere: la Salerno-Reggio Calabria, la Variante di Valico e la ferrovia ad alta velocità Treviglio-Brescia. Anche il quadro normativo è stato rivisto per evitare di replicare gli scandali del passato e gettare altri milioni dalla finestra: c'è stata l'approvazione del nuovo codice degli appalti pubblici ,è stata superata la legge Obbiettivo, sono state pubblicate le linee guida per la valutazione degli investimenti in opere pubbliche del ministero delle Infrastrutture e trasporti.

Insomma, si sta cercando di raddrizzare il tiro su ciò che si costruisce, a cominciare dalla fase della pianificazione.

Inoltre c'è più attenzione alle nuove tecnologie e si guarda sempre più all'«intelligenza» delle grandi opere più che all'acciaio e al cemento.

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