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I pm fanno pagare a noi la banca della sinistra

Non era mai successo prima. Un editore, Paolo Berlusconi, e suo fratello, Silvio Berlusconi, condannati in primo grado per la pubblicazione di atti coperti dal segreto istruttorio

Non era mai successo prima. Un editore, Paolo Berlusconi, e suo fratello, Silvio Berlusconi, condannati in primo grado per la pubblicazione di atti coperti dal segreto istruttorio. Due anni e sei mesi al primo, un anno al secondo. Perché è successo è ovvio: lo scoop, era il 2005, fu fatto da Il Giornale, a fare una figuraccia fu l'intoccabile Pd. L'onta andava lavata con la durezza che si usa verso chi non vuole imparare la lezione che la sinistra non si tocca e a farlo ci hanno pensato tre solerti giudici del tribunale di Milano: Oscar Maggi, Teresa Guadagnino e Monica Amicone. Maggi non è nuovo a clamorose topiche su Berlusconi (condanna annullata nei seguenti gradi di giudizio), la seconda fu già ricusata in altri procedimenti dallo stesso Berlusconi.

Attenzione. Qui non si parla di notizie ritenute false o diffamatorie. No, parliamo di notizia vera e confermata, la famosa intercettazione in cui Fassino, all'epoca segretario dei Ds, esclama al telefono: «Abbiamo una banca», tradendo così la partecipazione del partito alle scalate bancarie dell'epoca (in particolare Unipol su Bnl). Per questo Paolo Berlusconi dovrebbe andare in galera, seguito a ruota dal fratello Silvio senza il cui consenso, si legge negli atti, la pubblicazione non avrebbe potuto avvenire. Nessuno dei due rischia nulla, perché il processo è prescritto tra pochi mesi. Solo tempo e soldi persi, uno schiaffone mediatico ad uso politico (tra l'altro sono cadute strada facendo le accuse di ricettazione e millantato credito a carico di Paolo Berlusconi).
Io sono orgoglioso di dirigere oggi il giornale che otto anni fa pubblicò quella intercettazione che, guarda caso, la magistratura si era rifiutata di allegare alle carte. Sono orgoglioso di avere come editore Paolo Berlusconi e avrei fatto esattamente quello che fece il direttore dell'epoca, Maurizio Belpietro, al quale ho invidiato la pubblicazione di uno dei più grandi scoop di quegli anni.

Se invece che indagare i Berlusconi i magistrati avessero messo sotto inchiesta Fassino e compagni forse oggi ci saremmo risparmiati lo scandalo Montepaschi, figlio di quello stesso inciucio occulto, disinvolto e impunito tra Pd e sistema bancario. Avremmo qualche miliardo in più nelle casse pubbliche e non dovremmo piangere un disperato che dalla vergogna si è buttato dalla finestra.

E invece no. Loro si tengono le banche, a noi le condanne. E ancora una volta fa rabbia che il condannato Silvio Berlusconi subisca ogni giorno lo stesso trattamento a lui rimproverato senza che nessuno muova foglia. Le intercettazioni e gli interrogatori segretati (clamoroso il caso di quello fatto da Ingroia nell'ottobre scorso) che riguardano l'ex premier sono stati pubblicati tra il tripudio della sinistra e di magistrati compiacenti e probabilmente complici.

Ma di che condanna parliamo? Questo è l'ennesimo atto di intimidazione non contro la stampa ma contro la stampa non allineata con procure e sinistra. Come noto non è il primo e, ne sono certo, non sarà l'ultimo. Per me è una medaglia, per tutti noi un motivo a non mollare di un millimetro. Ci aspettano tempi duri ma non ci vedranno mai vinti.

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