Politica

Strage di Stato

Uomini e donne si tolgono la vita non solo per disperazione, ma anche per un eccesso di dignità. Preferiscono la morte al disonore di non poter fare fronte agli impegni col fisco

Strage di Stato

Ancora suicidi. Uomini e donne che si tolgono la vita: non solo per disperazione, ma anche per un eccesso di dignità. Preferiscono la morte al disonore di non poter fare fronte agli impegni coi fornitori e col fisco. Già, il fisco. Si deve sapere che la pressione fiscale, nell'ultimo trimestre 2012, per effetto dell'Imu è salita al 52 per cento. I cittadini che riescono a sopportarla sono eroi, quelli che non ce la fanno scelgono il martirio, anzi, vi sono indotti.
Qualcuno in passato, avendo forse le idee annebbiate, disse incautamente che le «tasse sono belle». Trascurò di precisare che semmai sono necessarie e, in una certa misura, giuste. Ma se superano il 50 per cento del reddito, molti cittadini si rivolgono a Caronte pur di non trattare con i funzionari di Iniquitalia. Significa che le imposte e la pena capitale sono sorelle.
Urge intervenire per ridurle entro limiti umani. A chi tocca farlo? Agli amministratori della cosa pubblica, allo Stato, che non è un ente astratto, ma è rappresentato dai signori della politica eletti di volta in volta per guidarlo nell'interesse collettivo. È del tutto evidente che essi, almeno nell'ultimo trentennio, hanno fallito. Ne conosciamo i volti e i nomi. Sono personaggi noti, alcuni stanno ancora lì a menare il torrone, lottano con accanimento per conservare il potere di dissanguarci. Lungi dal vergognarsi, si danno arie da grandi economisti, se la tirano da esperti di conti, concionano, litigano tra loro per accaparrarsi poltrone. Se invece di essere responsabili di ministeri lo fossero di aziende private, sarebbero a marcire in galera.
La nostra non è un'esagerazione ispirata al più vieto qualunquismo (di cui populismo è diventato un sinonimo). È una riflessione suggerita dalla realtà sotto gli occhi di ogni italiano. Qualsiasi impresa, piccina o grandissima, se ha il bilancio eternamente in passivo, se incassa meno di quanto spenda, e non ha i soldi per pagare i creditori, salta per aria, e il titolare porta i libri in tribunale e chiede il concordato. Se lo ottiene, dimostrando di avere i requisiti, se la cava (si fa per dire). Altrimenti il giudice dichiara fallimento, e spesso non finisce qui.
Talora scatta la bancarotta, un reato grave. Talaltra scatta di peggio: bancarotta fraudolenta, reato gravissimo punito con l'arresto e, quindi, il carcere. Sarebbe il caso dello Stato. Il quale ha debiti per circa 100 miliardi con varie ditte. È insolvente da anni. Ha costretto artigiani e industriali a chiudere bottega. Discrimina i creditori: alcuni li paga, altri no e li fa sospirare. Per esempio: versa regolarmente i compensi ai dipendenti, ai consulenti, agli onorevoli e ai senatori, dispensa contributi a fondo perduto, ma non salda le fatture relative a servizi e forniture che, secondo la legge, andrebbero liquidate entro 60 giorni.
Non è consentito dal codice privilegiare un creditore e penalizzarne un altro. Lo Stato se ne frega: chi fa le leggi è il primo a non rispettarle, ma pretende - a suon di sanzioni - che i cittadini le rispettino alla lettera. Ecco perché abbiamo parlato di bancarotta fraudolenta. Ancora un esempio: i folli rimborsi elettorali ai partiti vengono versati sull'unghia, pronta cassa. Viceversa le spettanze degli imprenditori sono congelate. Perché? Lo Stato non ha soldi. Non li ha per le aziende fornitrici, ma ne ha tanti per rimborsare ai partiti spese che non hanno neppure sostenuto, e per le quali non esiste l'obbligo di esibire alcun giustificativo.
Se oltre che a Berlino ci fosse un giudice anche a Roma, gli amministratori pubblici dovrebbero essere inquisiti e, volendo adottare nei loro confronti le stesse norme applicate rigorosamente ai titolari d'impresa, subire l'orrenda detenzione cautelare, cui si ricorre quando si tema la reiterazione del reato, l'inquinamento delle prove e la fuga dell'indagato.
Perché due pesi e due misure? Perché i ministri hanno licenza di commettere impunemente bancarotta fraudolenta mentre l'amministratore delegato di una società per azioni lo ammanettano immediatamente, poi si vedrà? Un motivo ci sarà.

Forse i «padroni» dei dicasteri, a differenza del ragionier Rossi, maneggiano i nostri quattrini, notoriamente considerati come quelli delle puttane.

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