Politica

Contro Marina fango a orologeria di "Repubblica"

Alla sola ipotesi che la figlia del Cavaliere scenda in politica, il gruppo Espresso ricicla vecchie carte giudiziarie. Ma deve ammettere: l’inchiesta è irrilevante e già chiusa

Contro Marina fango a orologeria di "Repubblica"

Se fosse apparso sul Giornale, lo scoop sarebbe appartenuto senza dubbio alla categoria nota come prodotto della macchina del fango, quell'indegno tipo di giornalismo che fruga nel passato delle persone per sputtanarle al momento più opportuno. Trattandosi invece dell'Espresso e di Repubblica, ovvero organi per definizione di giornalismo d'inchiesta, diventa irriverente domandarsi se la notizia del conto offshore di Marina Berlusconi sia stata rispolverata in coincidenza con la presunta discesa in campo della stessa Marina Berlusconi, giusto per mettere la signora sull'avviso di quel che le toccherebbe se davvero le venisse l'uzzolo di fare politica. La notizia, come vedremo, è vecchiotta. E tanto il quotidiano che il settimanale danno atto - tra le righe - che è «penalmente irrilevante», senza spiegare bene perché. Ma il risultato è comunque raggiunto. I conti (e le colpe) dei padri ricadono sui figli. Della figlia, soprattutto, colpevole sulla fiducia per essere stata candidata suo malgrado alla successione del Caimano e quindi, inevitabilmente, Caimana anch'essa.

«Marina Berlusconi titolare di società offshore», titola Repubblica a Ferragosto. Perbacco!, saranno saltati sulla sedia i lettori. «Ecco - avranno pensato - tale il padre, tale la figlia»! Magari a qualcuno di loro, dalla memoria inguaribilmente lunga, la storia sarà parsa vagamente familiare, magari sarà parso di avere già letto la stessa storia sullo stesso quotidiano, che in effetti la raccontò per filo e per segno in un articolo a pagina 18 dell'edizione del primo marzo 2006. Ma sono passati sette anni, e come dicevano i vecchi cronisti non c'è nulla di più inedito di quel che è già stato scritto. Tutto sta, dicevano, a ripeterlo bene e al momento giusto.

Che questo sia il momento giusto è ovvio. Che la faccenda sia stata raccontata bene si potrebbe disquisire, perché lo scoop riscaldato afferma quello che né i giudici e nemmeno i pubblici ministeri hanno sostenuto, e cioè che Marina e Pier Silvio sono stati «beneficiati delle sottrazioni delle casse all'erario dei diritti televisivi». In realtà, secondo la stessa Procura di Milano, i due rampolli del Cavaliere erano «meri prestanome», cioè esattamente il contrario dei beneficiari. Il beneficiario, dicono le sentenze, era il babbo, sino alla cui dipartita neanche uno spicciolo poteva uscire dai conti senza permesso. D'altronde anche un fuoricorso di giurisprudenza sa che se Marina Berlusconi si fosse fatta accreditare sui suoi conti offshore i quattrini fregati dal Cavaliere al fisco gonfiando il prezzo d'acquisto dei film sarebbe stata accusata di ricettazione.

Invece l'unica volta che il pubblico ministero Fabio De Pasquale - sfidando il dissenso del suo collega Alfredo Robledo, il quale gli spiegò codice alla mano che l'idea non stava né in cielo né in terra, e di fronte alla ostinazione di De Pasquale abbandonò l'indagine - decise di iscrivere Marina insieme a suo fratello Pier Silvio nel registro degli indagati per la storia dei conti esteri, dovette poi mestamente rassegnarsi a chiedere lui stesso l'archiviazione delle accuse. Fu un caso più unico che raro, nella lunga storia del braccio di ferro tra il pm baffuto e il gruppo Mediaset. Come ricorda ieri il portavoce di Marina Berlusconi, spiegando che si tratta di storie «ampiamente note e ampiamente chiarite» condite «di inesattezze, insinuazioni, veri e propri travisamenti. Abbondante materia per i nostri avvocati». Nel conto intestato a Marina, che si chiamava Muesta e stava a Guernsey, nelle isole del Canale, le indagini della procura milanese si imbatterono a metà del decennio scorso. Eppure l'altro ieri il caso clamoroso del fondo Muesta viene rivelato ai lettori di Repubblica con un'intera pagina e con l'orgoglio che di solito si riserva agli scoop.

E l'eco che l'articolo di Repubblica suscita ieri su siti e blog conferma nel modo più evidente che al giorno d'oggi uno scoop resta uno scoop anche se racconta una storia vecchia e finita in nulla; e che il giornalismo d'inchiesta più efficace - e anche il meno dispendioso - è quello che si può fare senza fatiche frugando negli archivi elettronici e scatenando la funzione copia-incolla nel momento del bisogno. E non è tutto: ai suoi lettori Repubblica rivela che Marina ha anche una villa alle Bermuda, e si chiama Blue Horizons. Magari è la stessa di cui Repubblica parlava in un articolo di Riccardo Luna: «Blue Horizons è la villa della prima famiglia di Berlusconi».

Era l'agosto del 1995.

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