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Altro che Pd, è il Partito del tradimento

La storia degli ultimi dodici mesi è fatta di amicizie spezzate e coltellate alle spalle. Renzi si guardi dai compagni

Altro che Pd, è il Partito del tradimento

Neppure Giuda di questi tempi si troverebbe a proprio agio a Largo del Nazareno. Non solo per i rimorsi. Un ex parlamentare che nel Pd non conta più nulla te lo dice senza guardarti in faccia: «Ognuno pensa che l'altro sia un potenziale traditore. Non ci si fida. Nel partito la regola è dormire con un occhio solo, camminare lungo i muri e mai dare le spalle a qualcuno, fosse anche il tuo migliore amico».

Il resto sono sorrisi di circostanza. È come stare in un bar dove sotto il tavolo si affilano i coltelli. Non è una sensazione e neppure un sospetto. Lo dicono loro, quelli che lì ci vivono e comandano. È il diario dell'ultimo anno. Franco Marini sta ancora sacramentando in abruzzese per le pugnalate alle spalle quando già si vedeva al Quirinale. Non ha le prove, ma sa, sa chi lo ha fatto fuori. Gente con i baffi o con la faccia da sacrestano. E ogni giorno che passa sospira per un pezzo di vendetta che si allontana. Romano Prodi è più coriaceo. La lista dei 101 congiurati se la rilegge la mattina a colazione. Non ha rinunciato al Colle. Dicono. Si sta preparando a buttar fuori Napolitano, magari seguendo la scia della legislatura Renzi, con le buone intenzioni di farlo ballare parecchio. Il ballo della vendetta.

Bersani battezzò Letta Jr. e Franceschini come Bruto e Cassio. Il segno delle 23 coltellate le porta ancora addosso. Ma in questa storia pure Bruto sputerebbe in faccia a Cassio.

I lettiani sussurrano in Parlamento il nome di Giuda e questo accade ogni volta che spunta il profilo di Franceschini. È lui che si è mosso alle spalle degli amici per preparare la successione di Renzi. Il premier quello che pensava lo ha detto in faccia: «Mi hai pugnalato». Molti nel Pd chiamano Matteo per nome. Poi sparlano della sua ambizione, del cinismo e della ferocia chirurgica con cui ha liquidato il governo e vinto il triplete: sindaco di Firenze, segretario del partito e capo del governo. Se si becca pure un interim ministeriale fa apparire Mourinho uno che si accontenta. Battuta di questi giorni: punta al record di Mastrapasqua.

Renzi però ha coraggio. Tanto. La sfida del «governo costituzionale» è da un colpo solo. Se disincaglia l'Italia dalla crisi e ridisegna la Repubblica arriva al 2018, passando alla storia come salvatore e padre della patria. Ma è un'impresa leggendaria. Se fallisce è finito e Grillo passeggerà sul suo cadavere (politico). In questa storia da «o la va o la spacca» ci sarebbero sempre i cinquant'anni da orsacchiotto, ma forse li abbiamo consumati tutti. Fatto sta che se la scommessa di Renzi è ai limiti del possibile, le insidie maggiori arriveranno proprio dal Pd, anzi dal Pt, il Partito dei traditori.

È l'incubo del fronte interno, di quelli che vomitano bile al minimo segno di successo, è la paura di perdere ogni peso all'interno del partito. È l'idea insopportabile di passare la carriera all'ombra di Renzi, uno che non ha ancora quarant'anni e potrebbe durare a lungo. Civati si accontenterà di fare il leader della minoranza interna? A Franceschini basterà scrivere un altro romanzo? Fassina farà il controcanto agli economisti renziani? Roma perderà le clientele, con Firenze già radicata di suo che si prende il resto degli affari rossi? Cuperlo si dimetterà ancora da qualche cosa? I vecchi si accontenteranno di raccontare come hanno resistito al ventennio berlusconiano? E Letta? Letta emigrerà in Europa? Magari si sacrificano per il bene del Pd e del Paese. È il partito diverso, quello della questione morale. Lo stesso Renzi continua a dire che sono una «grande comunità», dove si litiga ma poi nel momento di difficoltà si lavora tutti per lo stesso obiettivo. Insomma, una squadra fortissima.

È il passato che conta, in fondo. È la tradizione cattocomunista dei buoni sentimenti. Andreotti non penserebbe mai male dei suoi amici di partito. Non ha visto franchi tiratori mentre era a pochi voti dal Quirinale. Natta non è stato mandato a riposo da Occhetto con un intrigo generazionale. E poi Occhetto non è stato colpito alla tempia da D'Alema, che stava lì ad attenderlo con il crick in mano davanti al rottame della gioiosa macchina da guerra. E poi il buon lìder Massimo non ha investito il ciclista Prodi mentre usciva da Palazzo Chigi. Tutti retroscena. Retroscena su come poi lo stesso D'Alema è stato fatto fuori. Retroscena le disavventure di Veltroni. Leggende le chiacchiere sulla strana abitudine della classe dirigente della sinistra italiana di consumare i propri leader. Usa e getta. Soprattutto getta. Non sarà Alfano o un centrista ramingo a far cadere Renzi.

Sarà il suo prossimo, quello che gli sta più vicino o alle spalle. Homo homini lupus.

La sinistra è un lupo per la sinistra.

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