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Anche i sospettati meritano rispetto

L'uno assolto dopo un quarto di secolo, l'altro torna sotto accusa. Contro di loro solo indizi

Anche i sospettati meritano rispetto

Con la consueta «rapidità», la giustizia, a soli 24 anni dal delitto di via Poma (Roma), ha emesso la sentenza definitiva: la Cassazione ha assolto Raniero Busco. Commento diffuso: un altro omicidio impunito. Il popolo percepisce - come usa per le temperature - di vivere in un Paese dove chi uccide la fa franca. Non è solo un luogo comune: è una falsità. Basta consultare le statistiche per scoprire che oltre il 70 per cento dei fatti di sangue ha un responsabile identificato e condannato. Almeno in questo campo, siamo perfettamente in media con il dato europeo. Evitiamo di fustigarci. Significa che le forze dell'ordine, gli investigatori e la magistratura sanno svolgere discretamente il loro compito. Ciò detto, fa impressione apprendere che il processo a carico di Busco, fidanzato di Simonetta Cesaroni (la vittima), si sia concluso dopo un quarto di secolo. Credo si tratti di un record mondiale, e non ci fa onore. Rivela che il nostro sistema giudiziario non è poi così garantista come i suoi sostenitori affermano. Sono davvero necessari tre gradi di giudizio? Naturalmente sì, se a utilizzarli tutti è l'imputato. Ma se anche la pubblica accusa vi ricorre, qualcosa non quadra. Se un Tizio viene assolto - poniamo - in Corte d'assise, non si capisce perché la Procura debba accanirsi contro di lui e appellarsi. Quasi che si trattasse di bega fra toghe, picche e ripicche fomentate da un malinteso senso d'orgoglio professionale. È vero che l'accusato ha il diritto di difendersi fino all'ultimo, ma se un Pm viene sconfessato da colleghi giudicanti, non si capisce perché abbia facoltà di aprire una seconda partita per puro spirito di rivalsa. Però questo è un altro discorso e meriterebbe un approfondimento; ci auguriamo che avvenga presto in sede di riforma della giustizia, promessa dal nuovo governo Renzi. Resta il fatto che, a 25 anni da un reato, è pressoché impossibile scoprire chi lo abbia commesso, avendo a disposizione solo vecchie perizie (o anche recenti, ma compiute su reperti «archeologici») e testimonianze annebbiate dal tempo. Un esercizio acrobatico da cui è facile che sortisca una mostruosità. Prendiamo Busco, visto che di lui si parla: vi sembra civile tenere in ballo un uomo per decenni con la minaccia della galera? Ora è stato assolto, e va bene così. Ma chi lo ripaga delle sofferenze - autentiche torture - che gli sono state crudelmente inflitte? La giustizia, per carità, non deve essere clemente; ma umana, sì. Non burocratica. Non cavillosa. C'è un altro caso emblematico di giustizia-brivido, quello di Raffaele Sollecito e Amanda Knox, ai quali è stata attribuita, in primo grado, l'uccisione di Meredith Kercher; in secondo grado, entrambi sono stati assolti; in terzo grado, nel dubbio, sono stati rimandati in appello e nuovamente condannati. Quest'ultima sentenza sarà verificata in Cassazione. Azzardo: c'è il rischio che venga confermata. Ora, se esaminiamo l'iter, avvertiamo l'assurdità di certe procedure che creano un clima kafkiano, dal quale siamo atterriti. I motivi di riflessione sono tanti. Il delitto Meredith è un pasticcio che nasce da un'indagine partita male e finita peggio. Càpita. Specialmente quando molti soggetti danno un contributo di confusione che impedisce di trovare un filo logico sia nell'accusa sia nella difesa. Raffaele e Amanda si conoscevano, all'epoca dell'omicidio, da cinque giorni. Erano sotto l'effetto del primo innamoramento, notoriamente travolgente. Improbabile che due ragazzi tanto presi l'uno dall'altra abbiano commesso un crimine di quel tipo. Ma non si sa mai. Serve almeno, per costruire un'impalcatura accusatoria, un movente. Che non c'è, almeno per Sollecito. Egli aveva una bella fidanzata di cui si era invaghito, una situazione personale tranquilla, laurea in vista, quattro soldi in tasca. Spiegatemi perché avrebbe dovuto concorrere a togliere la vita a Meredith, con la quale non aveva né attriti né feeling.

Sul luogo della tragedia non è stata rilevata traccia di Raffaele. Si discetta di perizie scientifiche. Non entro nei dettagli. Limitiamoci a ricordare che i periti non sono d'accordo, si smentiscono a vicenda. Già. Gli scienziati - chiamiamoli così - non sono padreterni, i loro pareri non sono univoci. Perché accettarne uno e rifiutarne un altro? Con quale criterio si sceglie o si rifiuta l'opinione di un tecnico? E le prove? Ci sono o no? Non sono state esibite. Soltanto pallidi indizi che non sono neanche indizi, ma elementi vaghi, buoni per congetture e teoremi. Intendiamoci. I processi indiziari sono tutti a doppia faccia, una truce e una sorridente. Quale selezionare? È disumano mandare un giovane in galera per 25 anni sulla scorta di supposizioni. Su Amanda non mi pronuncio. Non comprendo perché le posizioni processuali dei due giovani siano state accomunate. Aggiungo che anche sulla fanciulla americana non esistono prove. Mi rendo conto che il lavoro dei giudici si svolge sulle carte processuali e non sulla verità storica, ma proprio per questo dovrebbe essere prudente e ispirato alla necessità di non peggiorare le cose. C'è una vittima che grida giustizia. Ma non è giustizia seppellire in una cella due ragazzi senza prove della loro colpevolezza. Vorrebbe dire aumentare le vittime da una a tre. Orrore. Martedì sera sono stato in tv (Linea gialla) e ho tentato, con argomenti odiosi, di dimostrare che Sollecito, presente in studio, non può aver accoltellato Meredith, non sapendo chi questa fosse, non desiderandola, non avendo con lei rapporti né buoni né cattivi, ed essendo egli innamorato di Amanda, assai più avvenente. Convengo. Si può uccidere per gioco (finito male). Ma - ribadisco - siamo nella teoria. La verità va provata, dimostrata.
Per quanto riguarda gli insulti belluini che ho ricevuto per aver detto queste cose in tv, non mi scompongo. Accetto le critiche di tutti, anche degli sciocchi insolenti: li considero in buona fede. A costoro dico solamente che se i morti sono degni di rispetto, a maggior ragione lo sono i vivi.

Chiudere in galera due giovani per un omicidio senza sapere se essi l'abbiano commesso oppure no, non pare molto rispettoso.

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