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Abbiamo pagato l'Imu a Monti per salvare la banca del Pd

A dicembre con i Monti bond il governo ha fatto all'istituto un prestito di 3,9 miliardi, la stessa cifra incassata con l'imposta sulla casa. E in un'altra inchiesta su Mussari spunta il nome della Severino

Abbiamo pagato l'Imu a Monti per salvare la banca del Pd

Le banche non sono enti di beneficenza, e su questo non abbiamo mai avuto dubbi. Ma che una di esse, il Monte dei Paschi di Siena, nel 2009, quando la crisi galoppava da almeno due anni a causa della famigerata bolla finanziaria (provocata, anzitutto negli Usa, dai cosiddetti titoli tossici), si sia imbottita di derivati, suscita qualche sospetto sulla salute mentale di chi condusse l'operazione. Non si tratta soltanto di un problema psichico: qui ci sono di mezzo montagne di soldi ridotti a carta straccia.
Forse più che l'indagine di uno psichiatra, serve quella di un magistrato ferrato in materia di palanche. Anche perché si dà il caso che i conti dell'istituto senese adesso non siano brillanti, tanto che le quotazioni borsistiche del medesimo sono andate a fondo. E fosse finita qui. A esaminare la vicenda con un minimo di malizia, viene spontaneo domandarsi: mentre i banchieri, con in testa Giuseppe Mussari, erano impegnati ad accaparrarsi la citata carta straccia, spacciata per oro colato, cosa facevano i signori di Bankitalia? Dormivano?
Urge risposta tranquillizzante. Perché se la terza banca italiana, con vistosi legami politici (Pd), agisce fuori da ogni controllo, c'è poco da fidarsi dell'intero sistema creditizio. Per molto meno, anni fa (non molti), un governatore, Antonio Fazio, ci rimise le penne e non soltanto quelle. Siamo in presenza di uno scandalo? Adagio. Conviene aspettare che si chiariscano parecchie cose, poiché non stiamo parlando di bruscolini e di personaggi insignificanti, ma di miliardi e di big nel campo minato della finanza.
Intanto è utile ricordare un fatto abbastanza inquietante: quello dell'Antonveneta. La quale fu venduta, in base al principio del libero mercato, alla spagnola Santander per 6,6 miliardi dopo essere stata corteggiata dalla Popolare di Lodi e dall'olandese Abn Amro. Fin qui nulla di strano. Peccato che, a distanza di mesi, gli intelligentoni del Monte dei Paschi l'abbiano acquistata dai colleghi iberici per una somma nettamente più alta: oltre 9 miliardi. Una differenza così è francamente difficile da spiegare senza farsi venire la mosca al naso. Al momento dell'affare invece neppure un moscerino si avvicinò all'organo olfattivo di alcuno. Solamente oggi c'è chi sente puzzo di bruciato e cerca di scoprire l'origine del fumo.
Auguriamo buon lavoro agli investigatori, sperando che non si improvvisino pompieri allo scopo di non incendiare la campagna elettorale in corso. Come il lettore avrà già intuito, non vogliamo anticipare giudizi: potrebbero rivelarsi avventati. Ci mancherebbe. Semplicemente segnaliamo come forse anche le banche, perfino quelle (quasi tutte) che danno l'impressione di pomiciare con i progressisti, non siano in odore di santità ma si affannino, talvolta, a procurarsi forniture di armadi dove accatastare gli scheletri.
Ripetiamo: è un'impressione, anche se forte. Accompagnata da una preoccupazione: che oltre al Monte senese vi siano altri istituti che nascondono nelle pieghe dei bilanci qualche bidone destinato a cascare sul cranio dei cittadini.

Quando le banche smettono di fare il loro mestiere, quello di raccogliere e prestare quattrini in base alle esigenze del mercato, e si dedicano ad ardite manovre finanziarie, succede il peggio.

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