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Altro che vittime: spacciatori, stupratori ed ex detenuti. Viaggio in un centro per il rimpatrio

A Gradisca d’Isonzo c’è una delle strutture dedicate agli immigrati che devono tornare nei loro Paesi. Per la sinistra luoghi di illegittime detenzioni. Per poliziotti ed assistenti un pericolo quotidiano fatto di violenze e assalti

Foto di repertorio
Foto di repertorio

"Questo è uno spazzolino da denti trasformato in coltello, tirano fuori la piastra degli accendini piezo-elettrici l’affilano, l’attaccano alla punta dello spazzolino e ne fanno un’arma. Se te la piantano nel collo può far molto male. Questo è un pezzo di vetro grosso come un pugno che ci è arrivato addosso. Questo il tubo di un lavandino divelto, lo usano per colpire alle gambe gli agenti che entrano nelle stanze dove incendiano i materassi. Uno di questi ti spezza un ginocchio". Il funzionario di polizia ravana in quello che chiama l’ «armadio museo» e tira fuori una spranga con un impugnatura di gomma piuma. «Questo era l’infisso di una finestra, l’abbiamo strappata ad uno degli “ospiti” prima che colpisse uno degli operatori». Quelli che il funzionario chiama benevolmente “ospiti” sono gli 82 migranti irregolari, in gran parte nigeriani, tunisini e marocchini, reclusi nel Cpr di Gradisca d’Isonzo in attesa di venir spediti ai paesi d’origine. Questa ex-caserma trasformata in un Centro di Permanenza e Rimpatrio è spesso teatro di violenti disordini durante i quali gli “ospiti” si accaniscono contro operatori e forze dell’ordine.

"Di solito ci bersagliano con bottigliette di acqua minerale piene di urina, ma a volte va anche peggio. Un carabiniere senza elmetto si è preso un estintore in testa. Se l’è cavata con una decina di punti, ma poteva restarci». La violenza non è l’esclusiva di questo Cpr finito sotto accusa per due suicidi e due decessi per «overdose", uno dei quali è costato il rinvio a giudizio per omicidio colposo del direttore Simone Borile. «Il mio ruolo in quel decesso è stato molto amplificato, la mia presunta colpa è di essere il responsabile dell’operatore a cui è imputata la mancata sorveglianza» - premette Simone Borile, 54enne, direttore di un Centro affidato, fino al prossimo anno, alla gestione della cooperativa Ekene. Incendi, vandalismi, assalti agli operatori e atti di autolesionismo sono eventi ricorrenti in tutte le dieci strutture sparse sul territorio italiano. Queste violenze, accompagnate dalla distruzione delle strutture, hanno ridotto a poco più di 600 i posti disponibili nei dieci Cpr italiani chiamati a garantire, in teoria, un totale di 1378 posti. Proprio per questo il governo punta a raddoppiarli aprendone uno per regione. Borile ci tiene a far capire quanto vandalismo e violenze influiscano anche sul funzionamento della struttura.

"Nonostante il barometro della tensione sia su valori ottimali rispetto al passato ben sei dei 25 spazi abitativi sono chiusi per manutenzione". Ma perché tanta rabbia? Le sbarre d’acciaio e i pannelli di plexiglas anti-sfondamento eretti intorno a stanze di 80 metri quadrati, con due bagni e sei «ospiti» ciascuna ricordano - in effetti - più una gabbia metallica che non un centro abitativo. E il sole di luglio a picco non invita certo a passeggiare nella cosiddetta «vasca», il rettangolo di asfalto e acciaio disegnato davanti ai moduli abitativi. Le macchie scure disegnate su plexigas e sbarre dai roghi di materassi fanno però capire l’intensità e la diffusione di scontri e rivolte. «Gli ospiti di questi centri non sono educande, ma gente con il pelo sullo stomaco. Qui arrivano spacciatori, tossicodipendenti, responsabili di violenze sessuali ed ex-detenuti reduci da pene medio lunghe tra cui anche assassini ed ex- terroristi. Non molto tempo fa abbiamo ricevuto persino due pirati somali per il rimpatrio dopo la scarcerazione - ricorda il vice questore Mirko Liciano, un dirigente del reparto immigrazione della Questura di Gorizia che lavora a stretto contatto con il Cpr.

Il Direttore Borile sottolinea, invece, la difficile condizione psicologica degli «ospiti». "La situazione più tesa è quella degli ex-detenuti illusisi di venir liberati a fine pena. Per loro l’ulteriore detenzione è un sopruso. E questo li trasforma in autentiche bombe ad orologeria. Per loro l’unica alternativa al rimpatrio è la fuga durante un trasferimento. Dunque hanno due soli obbiettivi. Il primo è sfasciare tutto e venir spostati in un altro centro. Il secondo è darsi all’auto-lesionismo e tentare la fuga durante il trasporto in ospedale". In questo inferno psicologico e strutturale l’unica via per evitare scontri e disordini è realizzare la funzione dei Cpr, ovvero garantire i rimpatri in tempi più brevi dei 90 giorni concessi dalla detenzione amministrativa. Un esigenza che il Cpr di Gradisca d’Isonzo sembra soddisfare. «I dati parlano chiaro - spiega a Il Giornale il Prefetto di Gorizia Raffaele Ricciardi - qui a Gradisca nei primi sei mesi del 2023 abbiamo avuto 413 ingressi. Di questi il 53,3 per cento è stato rimpatriato, il 25,7% è uscito subito grazie ad avvocati e giudici o al riconoscimento della protezione internazionale. Dunque oltre l’80% delle persone dono uscite in meno di mese. Se ci aggiungiamo un restante 20% rimasto per 90 giorni a causa del mancato ricevimento delle pratiche di rimpatrio dai consolati, il tempo medio sale a 39 giorni». Insomma nonostante la cattiva, ma anche immeritata, fama i Cpr sembrano funzionare.

Soprattutto se - come a Gradisca d’Isonzo - la velocità delle procedure minimizza l’asprezza della detenzione.

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