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Assist al Cavaliere dal giurista del Colle

Il costituzionalista Onida, vicino a Napolitano: la legge Severino va chiarita, il Senato può e deve ricorrere alla Consulta

Onida e Napolitano
Onida e Napolitano

Dal Senato alla Corte costituzionale. Per verificare la compatibilità della legge Severino con la nostra carta fondamentale. Un passaggio che si può e, anzi, si deve forse fare in un momento così delicato e drammatico. Il punto, su cui si stanno esercitando esperti su esperti, è quello della retroattività della norma varata solo l'anno scorso. Insomma, in soldoni, Silvio Berlusconi verrebbe espulso dal Parlamento per via di una legge che punisce reati commessi ben prima della sua entrata in vigore. Una questione giuridica che ha, come è facile intuire, gravi ricadute sugli equilibri del Paese. Perché se la ghigliottina della retroattività dovesse essere fatta a pezzi dalla Consulta allora Berlusconi rimarrebbe a Palazzo Madama. Almeno fino alla definizione della pena accessoria del processo Mediaset - l'interdizione dai pubblici uffici con conseguente decadenza - che deve essere rimodulata dalla corte d'Appello di Milano.
Il rompicapo giuridico nasconde però un'ulteriore insidia preliminare, di tipo procedurale. Può il Senato spedire la norma che non lo convince davanti alla Corte costituzionale? «Sì - risponde Nicola Madia, avvocato penalista, dottore di ricerca alla Sapienza, figlio del principe del foro Titta Madia - io credo proprio di sì perché il Senato nel momento in cui deve decidere sulla decadenza di Berlusconi è a tutti gli effetti un giudice». E come un giudice può quindi chiedere alla Consulta la verifica della norma contestata.

Le parole di Madia trovano riscontro nell'articolo scritto da Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, giurista molto vicino al presidente della Repubblica Napolitano, sul Sole 24 Ore di ieri. Scrive Onida: «Non è decisiva l'obiezione secondo cui il Parlamento, se ritiene incostituzionale una legge, la cambia e non si rimette alla Corte costituzionale. Infatti in questa sede il Senato non è chiamato a legiferare, ma ad applicare la legge come giudice: in quanto tale ha, come tutti i giudici, il potere-dovere di rimettere alla Corte i dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale della legge che si accinge ad applicare». Chiaro? Prima di votare su una questione così importante come la decadenza da parlamentare del leder storico del centrodestra italiano, il Senato ha, secondo un giurista raffinato come Onida, da sempre collocato a sinistra, non solo il potere ma addirittura il dovere di dare risposta a tutti i punti di domanda e può farlo nell'unico modo possibile: chiedendo lumi alla Consulta. Questo naturalmente fermerebbe per alcuni mesi il «plotone d'esecuzione» che si accinge a decidere. La maggioranza Pd-Sel-5stelle pare intenzionata a non ascoltare nessuno, ma un «supplemento di riflessione», come l'ha chiamato Lorenzo Dellai, capogruppo alla Camera di Scelta civica, forse è necessario. Il problema della retroattività della norma non può essere liquidato come un cavillo da azzeccagarbugli.

E dunque una frenata è a questo punto necessaria. Anzi, ancora prima del'aula potrebbe essere la giunta a spedire la Severino alla Consulta. «Giunta o aula poco importa, se la vedranno i senatori - riprende Nicola Madia - il punto è che la strada verso la Consulta è aperta perché se così non fosse si avrebbe il paradosso di una legge, appunto la Severino, che non può essere passata al setaccio della Corte costituzionale perché gli unici giudici che possono valutarla sono il Senato e la Camera. Attenzione - aggiunge Madia - non mi permetto certo di anticipare l'eventuale verdetto della Corte costituzionale ma voglio offrire un elemento di riflessione. Sappiamo che per molti studiosi la decadenza è una misura di natura amministrativa e non penale, dunque può essere applicata retroattivamente. Io invece ritengo di no e lo dico sulla base delle sentenze della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo che, almeno dal 2007, sono cogenti per il nostro ordinamento. Bene, Strasburgo va alla sostanza e afferma che tutte le misure afflittive, per esempio la confisca dei beni e addirittura la perdita dei punti sulla patente, al di là dell'etichetta, hanno un natura penale e non amministrativa. Dunque non possono essere applicate retroattivamente».

Se così fosse, la decadenza, almeno sul lato della Severino, non ci sarebbe più. E Berlusconi resterebbe al Senato. Palazzo Madama ha tutti gli strumenti per interrogare la Consulta.

E non farlo sarebbe a questo punto una scelta di parte, davvero incomprensibile davanti alle obiezioni e ai dubbi sollevati da prestigiosi costituzionalisti.

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