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La Babele italiana del caffè: ritratto del Paese in tazzina

Quando si tratta di chiederlo al bar, parliamo tutti lingue diverse Più che la bevanda nazionale, è un oceano di richieste e di pretese

La Babele italiana del caffè: ritratto del Paese in tazzina

Cosa c'è di meglio di un caffè, anche se lo zucchero non c'è, cantava Celentano. Che la faceva semplice, come al solito, perché in Italia con la fenomenologia del caffè c'è da diventare scemi più di quanto già non siamo per altre ragioni, è un topos. A cominciare dal semplice lungo e corto, e come nel sesso se ne lamentano tutti: o è troppo lungo, o è troppo corto. Il corto fra l'altro si chiama anche ristretto, come nel sesso dopo aver fatto sesso.

Tuttavia se il lungo ha il limite fisico della tazzina, la scala dei ristretti è infinita, e di conseguenza delle relative lamentele piccate: «Avevo detto ristretto!». Il normale dell'uno è il lungo dell'altro e il ristretto dell'altro ancora. Il ristretto di Milano per un romano è già annacquato. I poveri baristi devono fare un corso di sopravvivenza prima di mettersi dietro il bancone e non diventare dei serial killer, io ai clienti gli sputerei nelle tazzine.

A me fanno rabbia quelli che chiedono il caffè al vetro, non capisco se per vederlo da fuori, come se ci fossero dei pesci rossi, o se perché avvertano la consistenza molecolare della tazzina, o se poi se la vogliono mangiare. C'è perfino chi lo chiede in tazza fredda, da raffreddare sotto il rubinetto, e in tazza calda, da riscaldare prima al vapore. «Ma perché?» domando a Sergio e Francesco, i miei baristi del Nik Bar di Roma, che mi vedono tutte le mattine all'alba. «Per le labbra» dicono. Hanno le labbra ipersensibili, oppure d'amianto, poverini.

Idem per il macchiato, non bastavano il macchiato freddo e il macchiato caldo, esiste il macchiato tiepido. E lo schiumato, una specie di macchiato ma con la schiumetta del cappuccino. Quindi può capitare di sentire un macchiato tiepido schiumato appena appena in tazza piccola di vetro calda. Come se avessero in bocca un test per verificare la prima e la seconda legge della termodinamica, non capisco perché non vengano assunti dal Cern di Ginevra per imprigionare il bosone di Higgs sul palato. E comunque allora facciano le cose fino in fondo e si facciano riscaldare o raffreddare i cucchiaini, per la sensibilità dei polpastrelli, e pure le sedie, per la sensibilità dei glutei, hai visto mai si bruciassero o congelassero le chiappe.

Attenzione perché se il macchiato è in tazza grande diventa un modo per farsi un cappuccino a scrocco. Sarà per questo che a Trieste, la città di Italo Svevo, il macchiato si chiama gocciato, per farti capire di mettercene un goccio e non fare il furbo, se ne metti troppo è la goccia che fa traboccare il prezzo in un sovrapprezzo. I maniaci della dieta ovviamente non lo zuccherano, i maniaci di Report chiedono il fruttosio, i maniaci del colesterolo mettono più zucchero che caffè e ci mettono la panna, i suicidi la panna e il cacao. Poi c'è tutta la categoria dei corretti, corretto alla grappa, corretto alla Sambuca, corretto al Rum, gli italiani correggono tutto tranne se stessi.

Quello che prendo io, l'americano, non è mai visto bene, per via del pregiudizio antiamericano del barista medio (la quintessenza dell'italiano medio), ti guardano tutti come se fossi Alberto Sordi in Un americano a Roma e per farti dispetto ti servono un caffè nella tazza del cappuccino con accanto un deprimente bricchetto dell'acqua calda mentre tu sei lì a sognare a occhi aperti il bicchierone di polistirolo Starbucks.

In ogni caso una cosa è certa: siamo un popolo di rompipalle, e non solo non ho capito la differenza tra un caffellatte e un cappuccino senza schiuma ma abbiamo inventato pure il caffè con latte e spruzzatina di cacao nel bicchierino di vetro, una specie di minicappuccino a percentuali invertite. Il quale però si chiama marocchino.

Almeno a nord, se lo chiedi da Roma in giù ti mandano a Marrakech, mentre se lo chiedi a Marrakech non sanno proprio cosa sia e giustamente ti mandano a quel paese, cioè qui.

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