Politica

Belsito, Lusi e Fiorito: mi scuso per il fango

È colpa dei giornalisti se i politici rubano. Il quarto potere non conta un tubo, ne ha sopra altri tre a cui bisogna inchinarsi. Da ora in poi solo articoli sdolcinati

Quale sarà il comportamento dei giornalisti costretti a lavorare con la minaccia del carcere pendente sul loro capo? Coloro che non vorranno correre rischi non oseranno più disturbare il manovratore e scriveranno articoli sdolcinati come quello pubblicato qui sotto, inventato apposta a titolo di sordido esempio.

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Martedì scorso, il Senato della Repubblica italiana ha fornito una prova di saggezza approvando un emendamento di alto contenuto etico: chi commette reato di diffamazione aggravata va rinchiuso in prigione per un anno in modo che, con l'aiuto del personale specializzato presente nelle case circondariali, possa essere rieducato al fine di non cadere più in errore. L'idea di offrire un bagno penale, ovviamente gratuito, ai criminali della penna bisognosi di redenzione è stata illustrata in aula dal senatore Roberto Castelli, politico di razza (padana), addirittura laureato in ingegneria, che vanta una biografia di notevole profilo. Basti pensare che è stato guardasigilli per cinque anni, dal 2001 al 2006, evitando con cura di inquinare la giustizia con riforme, rispettandone quindi la vecchia struttura, garanzia di efficienza, rapidità e, soprattutto, equità di giudizio.

Egli, inoltre, ha provveduto in breve tempo a trasformare gli istituti di pena da luoghi malsani, sporchi, infestati di scarafaggi e topi, in edifici moderni, funzionali, architettonicamente pregevoli, dove i detenuti soggiornano in alloggi caldi d'inverno e freschi d'estate, con servizi igienici all'altezza, insomma monolocali che non hanno nulla da invidiare ai migliori residence, spaziosi e luminosi. Castelli, avendo risolto l'annoso problema del sovraffollamento, si è meritato gli elogi dell'Unione europea, che gli ha riconosciuto di aver superato, nel settore carcerario, i colleghi pur bravi della Danimarca e della Norvegia. Ecco perché l'ex ministro leghista aveva i titoli onde invocare la galera per i giornalisti delinquenti, cioè quelli che perdono le cause e, di conseguenza, devono perdere anche la libertà. Difatti, 131 senatori, folgorati dalle parole dell'impareggiabile oratore, gli hanno dato retta votandone la proposta nel segreto dell'urna.

Qualche anima ingenua si domanderà perché il voto non sia stato palese. Suvvia! Certe cose si fanno di nascosto. La prudenza non è mai troppa. Metti caso che fra i cronisti ci siano delle teste calde. Costoro, avendo facoltà di identificare chi li ha impallinati, potrebbero ordire trame di vendetta. Non solo. Il senatore che tira il sasso ha il diritto di celare la mano, altrimenti magari non lo tira, tradendo così la propria incoscienza. Comunque, Castelli nella circostanza ci ha messo, come si dice, la faccia, mentre i cronisti ci hanno rimesso soltanto il culo, con rispetto parlando, e non se ne lagnino perché in galera ci andranno per il loro bene: impareranno che il quarto potere non conta un tubo, avendone sopra la testa altri tre cui è necessario inchinarsi, e senza risparmio di saliva, al fine di ingraziarseli.

Sia chiaro una volta per tutte che coloro i quali non si genuflettono davanti a lorsignori avranno vita grama e, per volontà dei leghisti, anche un bel gabbio in cui avranno facoltà di riflettere sulle proprie malefatte. È ora di piantarla con la macchina del fango manovrata dai vari Sallusti che infestano l'informazione e attentano alla dignità del Parlamento, convincendo l'opinione pubblica che i partiti politici non assolvono ai loro compiti. È colpa dei gazzettieri se deputati e senatori sono malvisti dai cittadini e non godono più della considerazione popolare, al punto che almeno la metà degli elettori manifesta l'intenzione di rinunciare a recarsi al seggio alle prossime consultazioni, non avendo fiducia nel sistema. È colpa dei gazzettieri se Beppe Grillo, gridando come un ossesso, guadagna consensi ogni giorno: bella forza, giornali e televisioni gli tengono bordone e sputtanano i suoi avversari costruendo falsi scandali sulla base di carte taroccate.

I politici si fanno in quattro, si ammazzano di fatica per far campare gli italiani quali nababbi e, per tutto ringraziamento, i fetenti della stampa gli danno addosso rovinando loro la reputazione con accuse infondate. I giornalisti sono metastasi da estirpare. Poiché, purtroppo, è vietato dalla Costituzione abbatterli come si usa coi piccioni, è cosa buona e giusta incarcerare i peggiori: colpirne uno per educarne mille. Questa è la formula magica di Castelli; d'altronde lui di cerchi magici se ne intende e, se adesso prepara anche le manette magiche per gli scribi, avrà le sue ragioni.

Tante ragioni. Prendiamo Francesco Belsito, ex tesoriere della Lega. Uomo perbene, specchiato, ha avuto la carriera spezzata da pennaioli senza scrupoli che lo hanno descritto come un mariuolo. Un santo gettato nella spazzatura da cronisti prezzolati intenti a fare l'interesse dei padroni, tutti invidiosi dei successi padani, in particolare del meraviglioso federalismo imposto da Umberto Bossi e dai suoi fedeli colonnelli. E che dire dei pettegolezzi sul fondatore della Lega, costretto ad abbandonare il timone del Carroccio? Calunnie. Menzogne spacciate per verità da fogliacci di sinistra e di destra. Ricordate il Trota? Un ragazzo d'oro, eletto precocemente consigliere regionale per le sue limpide capacità politiche, laureatosi in un annetto, affrontando massacranti trasferte (finte) nientemeno che in Albania per conseguire un titolo di studio internazionale. Già. Buoni tutti a laurearsi a Milano. Nonostante ciò, i maldicenti professionali si sono accaniti su di lui perché spendeva qualche spicciolo, sulla cui provenienza hanno mentito. Quei soldi erano risparmi personali; ma i perfidi giornalisti hanno scritto che erano prelevati dalle casse del partito. Ballisti di questa risma vanno schiaffati in cella, altro che multe.

Castelli è un tipo lungimirante e ha interpretato con acume il sentire della maggioranza a Palazzo Madama, che in effetti lo ha seguito sulla strada della giustizia giusta che porta i redattori a San Vittore o a Regina Coeli, de gustibus. Tra i suoi più entusiasti seguaci indovinate chi c'era? Francesco Rutelli, leader di Api, già segretario della Margherita. Uno dalla schiena dritta e dall'occhio di lince. Pensate, il suo tesoriere, Luigi Lusi, quanto quello della Lega, per una bazzecola montata ad arte dagli scribacchini, ha avuto guai giudiziari.

Povero manigoldo, gli hanno imputato di avere sgraffignato una ventina di milioni di euro. E lui, infingardo, si è giustificato dicendo che Rutelli era al corrente dei maneggi di denaro partitico. Invece non sapeva nulla. Non si era accorto degli ammanchi. D'altra parte, 20 milioni più o 20 milioni meno, chi ci bada? No di sicuro san Francesco, nomen omen. Parliamoci con franchezza. Un direttore di giornale, massì, Alessandro Sallusti, con un po' di buona lena controlla agevolmente un centinaio di articoli al dì affinché non contengano affermazioni a rischio querela; se non lo fa, dove vuoi che vada se non in galera? Mentre al segretario di un partito, Rutelli nella fattispecie, non puoi mica chiedere di verificare che dalla cassaforte non piglino il volo dei quattrini. Che se poi sono spariti solo 20 milioni, non si comprende perché farla tanto lunga. Se pecunia non olet, figurarsi il denaro pubblico, dei contribuenti. Quindi?

È fatale che se un cronista prende a pretesto un furtarello di questo genere per avviare una campagna denigratoria ai danni di un politico onesto e occhiuto quale Rutelli, non è corretto che la passi liscia: in galera, perdio!

Anche parecchi senatori del Pdl e del Pd si sono uniti al prode Castelli nell'intraprendere l'iniziativa, andata in porto, di confermare il carcere per i reprobi iscritti al nostro Ordine. Non è dato sapere i loro nomi, visto che il voto era segreto. Ma comprendiamo il nobile spirito che li ha animati. Entrambi i suddetti partiti sono stati strapazzati dalla stampa in modo indecente. Claudio Scajola si dimise da ministro del governo Berlusconi per una sciocchezza: una casa che ebbe in dono senza nemmeno conoscere l'identità dell'offerente. Non c'era niente di male: chiunque nella vita riceve, a propria insaputa, un appartamento o due in regalo, e nessuno fa tante storie. Scajola, tempestato di articoli negativi sul proprio conto, fu indotto ad abbandonare l'importante incarico. Un linciaggio. E noi linciatori o ci spariamo o andiamo in prigione. Sallusti ha scelto la seconda opzione, io sceglierei la prima per togliere radicalmente il disturbo.

Recitiamo, infine, l'atto di dolore per aver inflitto a Franco Fiorito l'umiliazione della prima pagina a causa di qualche frugale cenetta e di qualche acquisto innocente, un Suv e altri oggettini.

E per aver fatto lo stesso con Filippo Penati, già capo della segreteria di Pier Luigi Bersani, cui abbiamo attribuito di aver ricevuto stecche che esistono solo nella fantasia torbida di noi sicari.

Carcere ai denigratori, libertà ai lacchè. Sia fatta la volontà dei vendicatori.

Muoia l'informazione pulita e viva la politica sporca.

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