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Boccassini parla come Bersani. Il processo al Cav non si ferma

Il pm ricalca il teorema del segretario Pd e ottiene di andare a sentenza prima del voto. La difesa rinuncia a sentire Ruby e punta a spostare il dibattimento

Boccassini parla come Bersani. Il processo al Cav non si ferma

Milano - Alla fine dell'udienza non si capisce se sia più sollevata Ruby, cui viene risparmiata la graticola in aula, il fuoco di fila delle domande di accusa e difesa, la vivisezione in presa diretta della sua vita di ragazza sfuggita ad un destino da vucumprà per sbarcare alle feste di Arcore; o Ilda Boccassini, che vede svanire in extremis il rischio che il processo le venga congelato sul più bello, sottraendo il suo imputato al rischio di una condanna sotto elezioni. Per quattro lunghe ore, con le tre giudici chiuse in camera di consiglio, la possibilità che scattasse la moratoria, e che del caso Ruby non si parlasse più - come chiesto dai difensori di Berlusconi - fino all'indomani delle elezioni, ha stagnato sull'aula sovraffollata. Poi però il tribunale è riapparso, e la Boccassini si è sentita dare ragione su tutta la linea. Nessuna pausa, nessun trattamento di riguardo per un imputato che «è un privato cittadino». Si va avanti. L'obiettivo di una sentenza prima del voto è, a questo punto, a portata di mano.

La bordata dei difensori era stata ampiamente preannunciata a mezzo stampa. A Niccolò Ghedini e Piero Longo basta una manciata di minuti per presentarla ai giudici. Doppia richiesta: in primis, fare saltare l'udienza in corso, perché è documentato l'impegno di Berlusconi a Roma, a Palazzo Grazioli, per la riunione del Pdl che deve decidere le liste; e poi bloccare tutto il processo (e «ovviamente anche la prescrizione»), fino a dopo il 24 febbraio, non solo per gli impegni dell'imputato ma anche per evitare che si accavallino giustizia e politica, e «per evitare strumentalizzazioni». Ilda Boccassini contrattacca: accusa Ghedini e Longo di avere sollevato «non una questione giuridica ma una questione politica, e cioè se si deve sospendere il processo durante la campagna elettorale».

Ed è nel campo della politica che a quel punto si spingono le argomentazioni del procuratore aggiunto: fino a sottolineare, un po' come ha fatto Pier Luigi Bersani pochi giorni orsono per declinare il confronto in tv, che Berlusconi non è il candidato premier. «L'imputato Silvio Berlusconi è presidente del Pdl, non è il segretario politico nazionale che è l'onorevole Alfano. Non risulta che sia candidato premier, tant'è vero che la riunione di oggi si terrà nella sua abitazione privata a Palazzo Grazioli e non nella sede di via dell'Umiltà dove dovrebbero avvenire tutte le riunioni di partito. Non siamo affatto neanche nelle situazioni minimali di un legittimo impedimento. Chiedo che il processo vada oltre, questa è una questione politica che non dovrebbe entrare in un dibattimento. Sarà il tribunale a valutare. Ma la Procura dall'inizio di questo processo ha chiesto di fare un giusto processo in termini ragionevolmente brevi come prevede la Costituzione».

Durante tutto questo battagliare, Ruby un po' se ne sta in aula, un po' se ne sta in corridoio, apparentemente distesa e a suo agio sotto il tiro degli iPad e dei telefonini. Doveva essere la sua giornata, quella in cui finalmente appariva in aula a raccontare la sua verità. Invece lo scontro politico-giudiziario le ruba spazio e ribalta, e lei pare non dispiacersene affatto. I giudici entrano in camera di consiglio. E quando escono, poco prima delle 14, bocciano su tutta la linea la richiesta di Ghedini e Longo. Il processo va avanti senza soste: riunioni o non riunioni elezioni o non elezioni. L'assenza di Berlusconi dall'aula oggi per i giudici è «una scelta personale». Avanti, verso la requisitoria - forse già il 21 febbraio - e verso la sentenza.

Anche perché Ghedini e Longo, a sorpresa, rinunciano all'interrogatorio di Ruby, e la Boccassini non si oppone. Nel processo, con il consenso dell'accusa e della difesa, entrano i verbali resi da Ruby durante gli interrogatori: quelli in cui la ragazza raccontava che le feste di Arcore avevano anche aspetti licenziosi, ma escludeva di essere mai stata abbordata personalmente da Silvio Berlusconi.

Sentenza che piomba sul voto, dunque? Si direbbe di sì. A meno che dalla difesa di Berlusconi non venga impugnata l'ultima arma che il codice consente per bloccare la requisitoria e la sentenza. Berlusconi potrebbe chiedere alla Cassazione di spostare a Brescia il processo, sostenendo che nell'intero Palazzo di Giustizia di Milano non c'è la serenità sufficiente a giudicarlo equamente.

E a sostegno delle proprie tesi il Cavaliere potrebbe depositare i comunicati con cui i massimi esponenti della giustizia milanese - i presidenti del tribunale e della Corte d'appello - pochi giorni fa sono scesi in campo contro di lui e in difesa delle giudici della separazione da Veronica.

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