Politica

A casa la Franzoni: è il rimedio alla (in)giustizia

Non sarà che la giustizia, avendo la coda di paglia per averla scaraventata in cella in assenza di prove, tenta adesso inconsapevolmente o consapevolmente di riparare a un errore?

A casa la Franzoni: è il rimedio alla (in)giustizia

Annamaria Franzoni è nota alle cronache. Secondo le accuse e una sentenza definitiva, uccise il figlio Samuele a Cogne, in Valle d'Aosta, dove abitava con la famiglia, il marito e un altro bambino. Con quale arma? Non si sa. Essa non è mai stata trovata. Movente? Ignoto. Nonostante ciò fu condannata con una motivazione assurda in punta di diritto: se non lei, chi può avere ucciso il bimbo? In pratica la signora, subito considerata antipatica dall'opinione pubblica, è finita in carcere senza prove della sua colpevolezza che non fossero congetture, logiche forse, ma pur sempre congetture. Tanto è vero che il suo primo avvocato, Federico Grosso, un grande giurista, ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, ottenne di farla uscire dalla prigione dov'era stata rinchiusa in custodia cautelare.

Poi la vicenda si complicò per una serie di questioni, non escluso il cambiamento del collegio difensivo dal quale Grosso si defilò senza spiegare il perché. Pazienza. Nel giudizio di primo grado Annamaria fu dichiarata infanticida. In quello di secondo grado, pure. E in Cassazione le sue responsabilità vennero confermate. Non ricordo quali fossero i ragionamenti che indussero i giudici a ritenerla un'assassina, ma rammento che si trattava di una sorta di teorema. In quello chalet teatro del delitto chi mai sarebbe entrato una brutta mattina con l'intenzione di massacrare un bimbo? Difficile rispondere se non dicendo che solo la mamma, forse colta da un raptus provocato dal pianto insistente del pargolo, poteva aver perso la pazienza e l'autocontrollo.

Bastava una simile forzata interpretazione per sbattere dentro la signora? Per noi no. Invece bastò. E la Franzoni fu blindata nel carcere di Bologna: 16 anni di galera, sulla carta. Non nella realtà, perché scontati sei anni - qualcosa meno - ella ha ottenuto la facoltà di uscire per lavorare in una parrocchia. Ciò che ha fatto diligentemente. A pochi mesi da quella concessione, Annamaria ha strappato l'autorizzazione a tornare a casa sua, con il marito e gli altri suoi due figli di 18 e 11 anni, nel Comune di San Benedetto Val di Sambro. Un privilegio? Chiamatelo come volete. È un fatto che la detenuta, a poco più di un terzo della pena scontata, gode ora di una facilitazione notevole dovuta al risultato felice di una perizia cui è stata sottoposta: non è più socialmente pericolosa, non minaccia di reiterare il reato, praticamente è da ritenersi una brava persona incapace di fare del male. Completamente recuperata.

Siamo contenti per lei. Ma ci poniamo una domanda: non sarà che la giustizia, avendo la coda di paglia per averla scaraventata in cella in assenza di prove, tenta adesso inconsapevolmente o consapevolmente di riparare a un errore? Il sospetto è lecito. Infatti i processi indiziari suscitano sempre dubbi. È vero che la maggioranza degli italiani, ai tempi delle udienze tribunalizie, era persuasa che la Franzoni fosse l'assassina perché non si capiva chi altro potesse aver massacrato il povero bimbo. Ma questo sul piano giuridico non è sufficiente a giustificare la condanna della signora.

Giova infatti ricordare lo svolgimento dei fatti. Il marito di Annamaria uscì dalla villetta per recarsi al lavoro la mattina presto. Lei, come al solito, prese Samuele e lo portò nel lettone matrimoniale per evitare che frignasse. Poi preparò la colazione all'altro figlio e lo predispose, vestendolo di tutto punto, allo scopo di accompagnarlo alla fermata dello scuolabus, a 50 metri dall'abitazione. Affidato il fanciullo all'autista, col quale la signora ebbe un colloquio sereno, la Franzoni rientrò a casa e scoprì il piccolo Samuele zuppo di sangue, moribondo. Cosicché chiamò un medico vicino di casa. Che consigliò di ricoverarlo in ospedale.

Fine della storia. Chi può affermare che sia stata la mamma ad ammazzarlo? Non esiste l'arma del delitto, non esiste un movente che stia in piedi. Le perizie scientifiche effettuate nella tragica camera da letto non hanno fornito risultati concreti e tali da inchiodare la donna. Rimane il quesito principale: se non è stata lei, chi può essere stato?

Non nego che l'interrogativo sia inquietante. Ma non è sufficiente a mio giudizio per condannare una persona a 16 anni di prigione. Spero di sbagliare, però il dubbio non è mai stato sciolto. E non escludo che l'apparato giudiziario, consapevole di aver incastrato Annamaria senza le famose prove cui accennavo sopra, abbia avuto una resipiscenza e aperto i cancelli del penitenziario a titolo di parziale riparazione di uno sbaglio grossolano.

Con questo non voglio dire che Annamaria sia innocente. Non lo so. Ma se anche fosse colpevole, è assurdo sia stata condannata sulla scorta di una elucubrazione e non di prove certe. Il fatto che la signora torni a vivere in famiglia va pertanto salutato con favore. Nessuno dica che è stata aiutata a cavarsela col minor danno.

È giusto così.

Commenti