Politica

Gita di Casini & C. sulla pelle dei marò

I politici in India dopo due anni di disinteresse per i nostri fucilieri. È un’iniziativa velleitaria, turismo istituzionale

Gita di Casini & C. sulla pelle dei marò

Si apre un nuovo filone: il turismo istituzionale. Una folta delegazione italiana, composta da membri delle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, è partita ieri da Roma per Delhi. Motivo dell'escursione? Lo spiega Pier Ferdinando Casini in un'intervista concessa al Corriere della Sera: «Esprimere solidarietà ai marò», in procinto com'è noto di essere processati e, forse, condannati all'impiccagione, poiché accusati di aver sparato a un paio di pescatori (o pirati) che si erano accostati, due anni fa, a una nave italiana a bordo della quale Salvatore Girone e Massimiliano Latorre erano di guardia.

La vicenda è stata raccontata spesso e non vale la pena di ricordarne i particolari, tranne uno: la sparatoria avvenne in acque internazionali, fuori cioè dalla giurisdizione indiana; ciononostante, il comandante dell'imbarcazione ubbidì agli ordini delle autorità col turbante e attraccò in un porto indiano, consegnando alla polizia locale i due marinai, colpevoli di aver fatto - da militari - il loro dovere.

Questi i fatti. Quanto avvenuto successivamente è surreale. I marò (illegittimamente) imputati ne hanno viste di tutti i colori, mentre il governo e il Parlamento di casa nostra se ne sono infischiati, pensando che la questione non li riguardasse. Ora si avvicina il momento topico per i soldati, cioè la formalizzazione delle incriminazioni, e i politici italiani avvertono l'esigenza di fare in ritardo (e male) le mosse che non fecero a tempo debito. Va da sé che si tratta di iniziative velleitarie, peggio: finalizzate soltanto ad accendere i riflettori sui protagonisti della spedizione turistica di cui abbiamo detto sopra. Casini a denti stretti lo ammette: noi andiamo a Delhi senza uno scopo che non sia quello di dimostrare che ci stanno a cuore i due connazionali. Però, che sensibilità!

A questo punto però giova rammentare ancora che in due anni, quanti ne sono trascorsi dal giorno della tragedia in mare, i gentiluomini della Casta, ricoprissero o no un ruolo istituzionale, si sono disinteressati completamente della sorte dei marinai. Anzi. Li hanno presi in giro. Basti pensare che Girone e Latorre ottennero due licenze dagli indiani che consentirono loro di rimpatriare per brevi periodi. L'ultima volta che misero piede in Italia, accadde l'imprevisto: il ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, dichiarò che essi potevano rimanere qui evitando di subire un processo illegittimo, sottoponendosi invece al giudizio di un nostro tribunale. Pareva che il governo fosse d'accordo, al punto che il premier, Mario Monti, si fece fotografare - per celebrare l'evento - accanto ai marò. L'immagine fu pubblicata da tutti i giornali. Ma eravamo su Scherzi a parte.

L'esecutivo si rimangiò l'impegno e i due militari furono obbligati a ritornare tra le braccia dei propri aguzzini. Uno schifo senza precedenti. Il ministro Terzi di Sant'Agata, indignato, si dimise dall'incarico. Adesso che siamo alla vigilia della tragedia, le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato si svegliano, ma non compiono atti ufficiali per salvare Girone e Latorre: semplicemente vanno in gita a Delhi per sottolineare la propria bontà d'animo. E Casini, petto in fuori, se ne gloria.

Se il cappio si stringerà attorno al collo dei soldati, qualcuno pagherà? No di certo.

Assisteremo al solito piagnisteo e, magari, a funerali di Stato, la nostra specialità.

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