Politica

Casini, re Mida al contrario che fa secco ogni alleato

Attenzione al leader dell'Udc, con lui si finisce male

Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini
Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini

Non si può negare che in Italia la politica sia cambiata. Una volta il potere logorava chi non ce l'aveva, adesso logora - e molto in fretta - chi ce l'ha. Guardate Romano Prodi: ormai è una faccia da museo. Si è riparlato di lui giusto qualche mese fa in occasione dell'elezione del presidente della Repubblica. I suoi stessi amici, pur di non ritrovarselo tra i piedi, gli hanno votato contro preferendogli Anna Maria Cancellieri. Poi ha vinto, anzi rivinto, Giorgio Napolitano, ma questa è un'altra storia.
Guardiamo anche Mario Monti. Quando il Professore irruppe sulla scena fu salutato come un salvatore della Patria. I commentatori dell'epoca (agli sgoccioli del 2011), che sono gli stessi ancora in servizio permanente effettivo, consumarono tutti gli aggettivi del dizionario per lodarlo senza riserve. Ciò che egli dichiarava e faceva era considerato elegante, sobrio, ironicamente anglosassone. Mario aumentava le tasse? Giù applausi. Si trasferiva da Milano a Roma in treno, col Frecciarossa? Altri applausi. Indossava il loden? Però, che uomo. È durato un anno appena. Ora se appare in tv, qualsiasi cosa dica, per quanto sensata, tutti sghignazzano. Si divertono di più con le performance del bocconiano che con quelle di Maurizio Crozza, peraltro in calo di ascolti.
Perfino Enrico Letta esordì brillantemente e strappò elogi esagerati: «È giovane, intelligente, sa le lingue, è affidabile, vestito con proprietà, misurato eccetera». A distanza di una manciata di mesi ha già stancato: «Uffa, che barba questo democristiano senza midollo». Siamo passati dai leader inossidabili a quelli stagionali, a rapida scadenza. Forse perché i nuovi protagonisti della politica si assomigliano tra loro in modo impressionante, non ce n'è uno che resista nella stima del popolo: tre ospitate a Porta a porta e tre a 8 e mezzo sono sufficienti a usurarli, a renderli insopportabili.
Sorvoliamo sulle manovre dei governi, che hanno la caratteristica di essere l'una uguale all'altra e tutte basate sulla creazione di nuove tasse, a cui ciascun premier muta nome per dimostrare che a Palazzo Chigi mancherà l'intelligenza, ma non la fantasia, come a quei genitori moderni capaci di imporre ai loro bimbi nomi stravaganti: Lupo e Orsetta, per citarne due. Se avessi una figlia - improbabile - la chiamerei Lucertola, per ostentare inventiva.
A onor del vero, qualche politico in grado di non arrugginirsi è rimasto, ma è gente di scarso peso. Uno di questi è Pier Ferdinando Casini. Il quale riesce miracolosamente a scansare il becchino, forse perché egli stesso si è trasformato in schiattamuort (per dirla alla napoletana). Metaforicamente parlando, ne ha fatti fuori abbastanza per darsi delle arie, tra cui lo stesso Monti. Il quale, al termine dell'esperienza da presidente del Consiglio, decise incautamente di fondare un partito e, ancora più incautamente, di apparentarsi indovinate con chi? Con lui, Casini, nato in Parlamento e tuttora ivi residente. Una garanzia di morte precoce per la gracile formazione politica del docente. Che infatti è andata a rotoli.
Stessa sorte è toccata al Fli (che valeva un po' meno del flit) di Gianfranco Fini, confluito in Scelta civica sotto l'egida di Casini e Monti. Insomma, come poteva immaginare, l'ex presidente della Camera, di sopravvivere in simile compagnia? Pare evidente che anche solo attraversare la strada con Pierfurby comporti rischi gravi (politici, s'intende).
La strage potrebbe assumere dimensioni peggiori qualora il capo dell'Udc convincesse Angelino Alfano e il suo stormo di colombe ad accettare la propria corte allo scopo di istituire un'altra destra. Forse a Casini converrebbe darsi una calmata, tenendo presente che anche i becchini non sono eterni e talvolta, a forza di seppellire, vengono sepolti.

Una prece, eventualmente, non gliela rifiuteremo.

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