Politica

Il centro invisibile e i politici à la carte

I partiti che non hanno idee e non hanno leadership si collocano al centro per acquisire un potere contrattuale che non potrebbero avere

Il centro invisibile e i politici à la carte

In democrazia la battaglia politica ed elettorale si gioca per la conquista del centro, uno spazio nevralgico la cui occupazione facilita le relazioni con più ampi settori della società e permette di ampliare la base del consenso. Conquistarlo significa consentire che le proprie idee si diffondano e vengano riconosciute come valide dal maggior numero di segmenti sociali; per questo ogni partito di destra (conservatore o liberale) ed ogni partito di sinistra (socialista, socialdemocratico o riformista) muovono alla conquista di questa terra di nessuno.

I partiti che non hanno idee e non hanno leadership si collocano al centro per essere coinvolti in questo moto, acquisendo così potere contrattuale che non potrebbero avere: la sindrome dello spillo che cerca di diventare ago della bilancia. In un sistema bipolare nessun leader è di centro e nessuna grande idea è centrista. Il primo errore è quello di pensare che guardare al centro significhi scendere costantemente a patti con quella pluralità di piccoli partiti che lo occupano abusivamente e che non rappresentano gli interessi di blocchi sociali definiti, ma solo quelli di élite indefinite. Il politologo americano John Podhoretz, brillante intellettuale conservatore, ha scritto che «i centristi sono coloro che pranzano à la carte»; scelgono una volta una pietanza, la volta dopo un'altra, a seconda di ciò che offre la cucina. Questo spiega la loro incredibile capacità di cambiare schieramenti e coalizioni, punti di vista e battaglie politiche con la stessa facilità con cui si fa il cambio di stagione nel proprio guardaroba.

L'esempio italiano più attuale è quello del Nuovo centrodestra (Ncd) di Angelino Alfano che, nonostante il nome scelto, è un partito di centro: Alfano è molto più simile a Casini che non a Silvio Berlusconi e le idee di Quagliariello (vero teorico del movimento) sono più affini al popolarismo post-democristiano di Rocco Buttiglione che non al liberalismo di Antonio Martino. Ncd è il paradigma di questa «politica da menu»: appoggia il governo Renzi a guida Pd, si allea con Forza Italia localmente ma per le Europee stipula un patto con l'Udc e gli altri partiti centristi. L'altro errore è pensare che questo centro sia abitato da una strana popolazione chiamata «moderati». Ma il moderatismo non è un'identità, al massimo è una virtù individuale, una predisposizione dell'anima, non una categoria politica.

Il popolo dei moderati è un'invenzione lessicale, una leggenda metropolitana, spesso un alibi incapacitante. Quelli che qualcuno si ostina a chiamare «moderati» sono, in realtà, la parte della società italiana maggiormente colpita dalla crisi economica e sociale, dalla perdita di rappresentanza politica in una democrazia svuotata di sovranità, dalla presenza ossessiva di uno Stato invadente, di una burocrazia soffocante, di un sistema fiscale oppressivo; è quel ceto medio fatto di piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, professionisti che più che moderati sono arrabbiati per come stanno andando le cose. Forza Italia deve decidere se inseguire l'utopia di un centrismo e di un moderatismo che non corrispondono al suo dna liberal-conservatore oppure rappresentare la centralità del suo elettorato, che in questa fase storica convulsa chiede scelte coraggiose sui temi della sovranità nazionale, della crisi dell'Europa, del fallimento dell'euro, della lotta allo statalismo e alla burocrazia e della difesa della libertà individuale ed economica.

Battaglie né centriste né moderate.

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