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Come ci siamo ridotti Molto meglio le urne

Un altro governo tecnico sarebbe un incubo, il voto anticipato inevitabile ci renderà ridicoli

Come ci siamo ridotti Molto meglio le urne

Sono tutti contenti perché hanno eletto la presidente della Camera, Laura Boldrini, di Sel, il minipartito di Nichi Vendola. La quale presidente, avendone noi udito il discorso improntato alla più trita retorica pauperistica, assumerà di sicuro il nome di Francesca, come il nuovo Papa. Ha parlato delle donne vittime della violenza, dei carcerati, dei sofferenti, dei miserabili, degli ultimi e dei primi. Scusate, dei primi non ha detto nulla, perché sono gaglioffi. Un'omelia perfetta, che agli astanti ha strappato applausi a scena aperta. Applausi ripetuti e, quel che è peggio, convinti.

Convinti di che? Che la Boldrini non ha capito un'acca: chi presiede la Camera deve far funzionare l'aula, sorvegliare che nessuno sgarri e che si rispettino tempi e regolamenti. Non rientra fra i suoi compiti indicare la linea politica ai deputati. Lei invece non ha resistito alla libidine di dire la sua su come far girare il mondo. Peccato che della sua opinione non vi fosse alcun bisogno. Faccia la notaia e non ci ammorbi con chiacchiere senza capo né coda, buone tutt'al più per un comizio alle cime di rapa.

La Boldrini al vertice di Montecitorio è il segno che il declino non è cominciato, ma si è già compiuto. Il prossimo passo ci porterà alla catastrofe. Se la Casta era orrenda, la mezza Casta che ci siamo dati col voto del 24-25 febbraio è addirittura inguardabile: velleitaria, fumosa, parolaia. Forse ruberà di meno. Forse. Quanto a rendimento politico, però, aspettiamoci un fallimento totale. Lo si è già capito. I compagni hanno fatto i matti per dare un assetto alle assemblee: trattative, mercanteggiamenti, negoziati. Neanche si trattasse di decidere i destini dell'umanità. E invece erano in ballo soltanto due poltrone secondarie, da considerarsi inutili finché non c'è una maggioranza in grado di esprimere un governo duraturo. Che oggi non esiste, e probabilmente non esisterà neppure domani, per ovvii motivi.

Mancano i numeri al Partito democratico, che ha vinto ma appena appena. Cosicché Pier Luigi Bersani, poveraccio, o trova una ruota di scorta o rimane fermo, immobile. Egli invero ha tentato di accordarsi con Beppe Grillo, santone del Movimento 5 Stelle, però è rotolato in buca come una palla da biliardo. Alle sue profferte, i grillini hanno risposto con pernacchi, volgari ma espressivi. D'altronde essi sono quello che sono: pagliaccioni, non stupidi. Se si mettono a collaborare col Pd, coautore del disastro politico in cui siamo precipitati, hanno solo da perderci: la faccia e le cadreghe. E alle prossime consultazioni vanno a ramengo: tornano a lavorare, se hanno un posto (del che dubito). Se, viceversa, rimangono alla finestra a godersi lo spettacolo dei progressisti annaspanti nel paciugo, «rischiano», oltre a divertirsi, di aumentare il consenso popolare.

Dato poi che il leader di Bettola ha ripetutamente affermato che gli fa schifo anche solo l'idea di percorrere cento metri a braccetto con Silvio Berlusconi, non si vede con chi altri egli potrebbe accompagnarsi per dare vita a un qualsivoglia esecutivo, pur mingherlino e asfittico che sia. Né è ragionevole immaginare che sia Giorgio Napolitano a togliere le castagne dal fuoco: che cosa mai potrebbe inventarsi l'inquilino del Colle per dare una guida al Paese? Un altro governo tecnico? Appoggiato da chi? Dal Pd, dal Pdl e dai centristi civili? Ma fatemi il piacere. Dopo l'esperienza tecnica inflittaci da Mario Monti, la pelle di noi italiani, ridotti in miseria, si accappona anche al solo sentir parlare di professori e affini. Vade retro docente, che fa rima con indecente. E allora? Niente, sprofonderemo nel ridicolo, correndo a rivotare in estate con la stessa legge elettorale discinetica che ci ha trascinato a questo punto.
Assisteremo dunque a un replay delle recenti consultazioni? Sarebbe una disgrazia, l'ennesima. Ma immaginare qualcosa di diverso, allo stato attuale, è un'impresa che ci coglie impreparati. Siamo nelle mani di Napolitano.

Oddio in che mani siamo.

 

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