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Il "Corriere" si schiera Con Togliatti

Il quotidiano della borghesia dedica due pagine alla beatificazione del Migliore: "Cercava soluzioni condivise". Sì, condivise da Stalin...

Il "Corriere" si schiera Con Togliatti

Ideona del Corriere della Sera: rivalutare Palmiro Togliatti. Ieri La lettura, inserto culturale del giornale milanese, ha presentato ai suoi lettori una passante (due pagine) firmata da Francesco Piccolo sul segretario del Partito comunista. Come accade a tutti gli articoli che si spingono nei territori dell'assurdo, il pezzo è stato spacciato per una «provocazione». La tesi? La sinistra di oggi, in compagnia dei grillini, si trastulla nel mito della propria superiorità morale, ma dovrebbe imparare da Togliatti, che aveva una «ostinata propensione alla soluzione condivisa - che è l'essenza della democrazia parlamentare». Così il Migliore (singolare soprannome per uno che non si cullava nel mito della propria superiorità morale) diede vita al «migliore Partito comunista europeo, in senso democratico», capace di collaborare con gli altri alla stesura delle regole. Piccolo, pur avendo un lenzuolo a disposizione, non trova lo spazio per infilare almeno una riga su quello che gli storici scrivono da circa 25 anni sulle «scelte condivise» di Togliatti. «Condivise» soprattutto da Stalin, che gliele aveva imposte. Come testimoniano i documenti ritrovati da Viktor Zaslavskij ed Elena Aga Rossi all'inizio degli anni Novanta, fu infatti il tiranno sovietico a ordinare a Togliatti di archiviare, per il momento, le posizioni anti-monarchiche e di puntare invece a entrare nel governo Badoglio. La tanto celebrata «svolta di Salerno» del 1944 era stata decisa a Mosca, non era stata presa per «ostinata propensione alla soluzione condivisa» e aveva un duplice scopo. Non indebolire il fronte antifascista a guerra non ancora terminata e allargare l'influenza politica comunista in un Paese che mai l'Urss avrebbe potuto trattare come quelli dell'Europa Orientale. Lo stesso dicasi per la rinuncia alla lotta armata nell'immediato dopoguerra. Il disarmo (comunque tardivo) delle formazioni partigiane rosse rispondeva ancora una volta alle esigenze geopolitiche dell'Unione Sovietica, che non voleva rogne mentre era impegnata a spartirsi il Vecchio continente con gli Stati Uniti. La decisione di partecipare alla stesura delle nuove regole all'interno dell'Assemblea Costituente fu una necessità: il Pci temeva di essere tagliato fuori e doveva legittimare la propria presenza nelle istituzioni, dal momento che la rivoluzione era ormai esclusa. Questa mossa azzeccata diede poi la possibilità alla propaganda comunista di affermare che la Costituzione era nata dalla Resistenza. Motivo per cui ancora oggi è intoccabile. Anche in questo caso l'«ostinata propensione alla soluzione condivisa» c'entra poco. Ritrovarsi quindi Togliatti come una sorta di precursore delle larghe intese per le riforme è un salto mortale. Alla fine della lettura di Piccolo, si è imparato nulla su Togliatti. In compenso si capisce un po' di più l'Italia, un Paese dove il quotidiano della borghesia produttiva riesce a dedicare due pagine (nel 2014, tra l'altro, che dinamismo) alla rivalutazione di Palmiro Togliatti detto il Migliore. Clamoroso lo scoop: dietro lo stalinista si celava (benissimo, fino a quando è arrivato Piccolo) un vero democratico. Che sia questa la «contraddizione irrisolta» cui accenna qua e là l'articolo? A proposito, Piccolo è autore di libri (l'ultimo è Il desiderio di essere come tutti, Einaudi, dedicato a Enrico Berlinguer), autore di Fazio a Che tempo che fa e Sanremo, sceneggiatore di Nanni Moretti e Paolo Virzì. Possiamo quindi prenderlo come esempio di intellettuale inserito e influente.

Anche questo ci dice qualcosa dell'Italia.

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