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Così i gesuiti hanno vinto la cattiva fama

L'appartenenza all'ordine è spesso malvista: i membri della Compagnia sono stati per secoli i preferiti da re e potenti

Così i gesuiti hanno vinto la cattiva fama

Anche se si è fatto chiamare Francesco, il nuovo Pontefice non dimenticherà di essere un gesuita, né che i gesuiti si distinguono soprattutto per la speciale fedeltà al Papa: c'è da credere che la pretenderà anche dagli altri ordini religiosi. Ma perché i gesuiti godono di tanta cattiva fama fra gli stessi credenti? «Sei un gesuita!» non è un complimento, sta per intrigante ipocrita.

Fondato ufficialmente nel 1540 da Ignazio di Loyola, l'ordine della Compagnia di Gesù si distinse subito per la cultura e lo spirito missionario dei suoi membri, esercitato specialmente nell'evangelizzazione (anche forzata, come in Sudamerica) e nell'educazione dei giovani. Erano pure confessori molto richiesti, perché nel giudicare i peccati sceglievano la soluzione più favorevole al peccatore, e presto divennero l'ordine preferito dai potenti. E potenti, dunque, essi stessi.

Potentissimi, poi, per la loro inflessibile ortodossia, durante la Controriforma. Furono inquisitori spietati, anche nell'uso della tortura. Intellettuali della Chiesa, scatenarono una vera guerra contro gli intellettuali laici: i quali già deboli cortigiani, dettero il peggio di sé. I più si adeguarono adattandosi alla pratica della «doppia morale» che ha tanto successo in Italia: ortodossi in pubblico, polemici in privato. Gli effetti furono pessimi. In Italia, con inquisitori gesuiti, si bruciava Bruno, si teneva Campanella in carcere per più di trent'anni, mentre nei Paesi protestanti si affermava la moderna filosofia idealista. In Europa nasceva la scienza moderna e in Italia si costringeva Galilei a negare la verità delle proprie scoperte. Con l'introduzione dell'Indice dei libri proibiti, fortemente sostenuto dai gesuiti, l'Italia, culla della cultura europea, diventava una colonia culturale. Tra la metà del Seicento e l'inizio del Settecento la cultura e la ricerca intellettuale sembravano avere ormai perduto ogni vitalità sotto il peso opprimente della scolastica, della fossilizzata educazione umanistica impartita dai gesuiti.

Nel 1773 erano 23mila sparsi in tutto il mondo e gestivano 800 scuole - le migliori dell'epoca - con 15mila insegnanti, rigorosi e abili nel gestire il potere. Pronti a ogni sofisma, i gesuiti si davano con particolare energia all'insegnamento per formare sul loro modello le nuove generazioni, secondo il principio «impadronitevi di un'anima a sette anni e sarà vostra tutta la vita». Duttili e capaci di variare l'offerta a seconda delle necessità, sapevano andare incontro ai gusti popolari, per esempio con l'uso di processioni che è dir poco definire folcloristiche. Le loro chiese diffusero lo stile barocco, che ben prima di chiamarsi tale veniva chiamato gesuita: avevano capito che il popolo doveva essere suggestionato e incantato con la magnificenza stupefacente della casa del Signore. Dal lato opposto si applicarono scientificamente a distruggere la più grande e progressista opera del Settecento, l'Encyclopédie, rivelandone inesattezze ed errori. Attraverso di loro la Chiesa tentò insomma di costituire una propria intellettualità che combattesse e sostituisse quella laica, come nel Medioevo: la cacciata dei gesuiti da quasi tutti i Paesi d'Europa dimostra quanto l'operazione fosse sentita come pericolosa dagli Stati. L'Inghilterra li aveva già espulsi nel 1605, insieme a tutti i cattolici, dopo un attentato al re; un secolo e mezzo dopo vennero espulsi dal Portogallo in seguito a un altro attentato al re: in verità i gesuiti non erano attentatori, ma ormai l'Europa era determinata a sbarazzarsene a qualunque costo. Fra il 1764 e il 1767 furono espulsi da Francia, Spagna, Parma, Napoli, dove il ministro Bernardo Tanucci li definì «un vero canchero del genere umano». Nel 1773 il francescano Clemente XIV, pressato da quasi tutti i sovrani d'Europa, dovette sciogliere l'ordine. I gesuiti sopravvissero in Polonia e in Russia fino alla ricostituzione dell'ordine, nel 1814.

Purtroppo, i gesuiti venivano ovunque considerati italiani, e in gran parte lo erano. In tutto il mondo si pensava che gli italiani fossero discepoli dei gesuiti. Non era, nel Settecento e nell'Ottocento, una buona immagine. Nella restaurazione seguita alla Rivoluzione francese, i gesuiti ripresero il controllo dell'istruzione pubblica, e ricrearono la spettacolare ed esteriore religiosità di massa: mese mariano, rosari collettivi, culto del Sacro Cuore. In Italia, a Napoli, fondarono anche La Civiltà Cattolica, rivista con la quale da allora comunicano al mondo il loro pensiero. Nel 1853, dopo tre anni, la rivista aveva 13mila abbonati, numero esorbitante per l'epoca, tanto più che gli Stati italiani ne contrastavano in ogni modo la diffusione. Fin dalla nascita La Civiltà Cattolica anticipò e guidò le iniziative politiche dei cattolici italiani, spesso anche prima delle decisioni di Papa e curia. Senza andare troppo per il sottile, i gesuiti bollavano di comunismo tutti i democratici che si opponevano all'ordine costituito, pur di combattere il «mondo moderno», a partire dalla libertà di stampa e dalla democrazia.

Si specializzarono anche nell'attacco agli ebrei, e nella seconda metà dell'Ottocento attribuirono a una congiura ebraica tutti i mali della società moderna, dal liberalismo al socialismo. Nel 1890 diffusero in tutte le parrocchie italiane un opuscolo sulla Questione giudaica in Europa: vi si spiega perché gli ebrei meritino il castigo divino e perché «siano nemici giurati del benessere delle nazioni in cui si trovano». Di conseguenza gli ebrei «non hanno diritto» a essere trattati come gli altri cittadini. La rivista dei gesuiti era la più autorevole rivista cattolica, quella che dava il «là» alle altre pubblicazioni: i gesuiti riuscirono a diffondere nei credenti la convinzione che gli ebrei non portano niente di buono, e il razzismo fascista ebbe un buon terreno di coltura nel razzismo cattolico.
Auguri, Francesco. Fai onore al tuo nome.
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giordanobrunoguerri.it

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