Caso Sallusti

È la diffamazione l'arma letale dei pm

Sallusti vittima di una legge punitiva che ora va corretta. Bene i risarcimenti, no alla radiazione dei giornalisti

Il direttore del "Giornale" Alessandro Sallusti
Il direttore del "Giornale" Alessandro Sallusti

Caro direttore,
ho letto con interesse il tuo corsivo, ieri sul Giornale, e, se me lo consenti, vorrei aggiungere una chiosa. Il tuo caso è istruttivo: una legge iniqua applicata con un rigore punitivo che puzza di vendetta. I giudici hanno esagerato, sia quelli d'appello sia quelli della Cassazione. Ma, a mio avviso, se le toghe non avessero avuto a disposizione norme sballate, fasciste, antiquate, degne di un Paese totalitario, non avrebbero potuto arrivare a tanto. Ciò significa che si deve intervenire con urgenza sul codice penale, togliendo ai magistrati un'arma letale con la quale possono rovinare chiunque faccia il nostro mestiere, specialmente nel ruolo di direttore, il più rischioso, perché il responsabile di un organo d'informazione paga anche per reati commessi da colleghi di testata.

Per assurdo, se il direttore è fuori sede - in vacanza, ricoverato in ospedale, magari in coma - e il suo giornale pubblica un articolo diffamatorio firmato da altri, non importa: colpa sua lo stesso. Il tribunale ha facoltà di condannarlo nonostante la responsabilità penale sia personale per definizione e non oggettiva. Basta questa osservazione per capire quanto la legge sia sbagliata. È indispensabile correggerla, adeguandola non solo a quella di quasi tutti i Paesi occidentali - Inghilterra e Stati Uniti, per esempio - ma anche alle disposizioni dell'Unione europea.

Tu hai il timore che la riforma avviata dal Parlamento possa essere una toppa peggiore del buco. Non lo escludo. Va però detto che il testo presentato congiuntamente da Maurizio Gasparri (Pdl) e Vannino Chiti (Pd) è un buon punto di partenza. Abolire la galera per il reato di diffamazione è già un passo avanti. Questo non significa concedere ai giornalisti licenza di diffamare. Ci mancherebbe. Il diffamato va risarcito. Come? Anzitutto con un congruo indennizzo che si tratta di quantificare secondo parametri precisi, un po' come avviene per gli incidenti stradali, tanto per spiegarci. Chi è stato offeso nella propria reputazione ha diritto a una riparazione. Che riparazione è la galera? Che soddisfazione dà alla vittima? Se scrivi che sono un ladro, e ciò non è vero, pretendo che tu mi restituisca l'onore. In due modi. Primo. Pubblicando una rettifica esaustiva, ben evidenziata sul giornale, affinché i lettori sappiano la verità. Secondo. Pagando in denaro e non in giorni o mesi o anni di reclusione. Così usa nel mondo civile, ma non in Italia perché la legge ora in vigore, approvata nel 1930, sopravvive benché il fascismo sia caduto quasi 70 anni orsono. Una vergogna per il ceto politico del passato e del presente.

La nuova, eventuale normativa dovrà contenere, per essere all'altezza dei tempi, disposizioni rigide, sul punto delle rettifiche: è qui che il legislatore è obbligato a essere severo, inflessibile. Anche oggi la materia è regolamentata, ma non in modo soddisfacente. Costringere i direttori, con la minaccia di pesanti sanzioni, a smentire notizie diffamatorie nel giro di 48 ore è essenziale. Ma le smentite vanno inviate per raccomandata e stampate con lo stesso rilievo dato all'articolo contestato. Non mi sembra difficile fare giustizia senza arrivare all'orrore della prigione.

Quanto alle pene accessorie - sospensione o radiazione del giornalista dall'albo professionale - sono improponibili perché in contrasto con i principi fissati dalla Costituzione a garanzia di chi manifesta il proprio pensiero. La libertà di espressione non è sopprimibile, mai.

Anche solo tentare di impedirne momentaneamente l'esercizio è un grave delitto.

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