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E ora Renzi silura Letta: «Il rimpasto non ci basta»

RomaIl panettone l'ha mangiato, però non l'ha mica offerto ai suoi ministri: trascuratezza o punizione che sia, un segno dell'aria che tira. Nell'immediato orizzonte ci sono pure cotechino e lenticchie, se vogliamo. Ma l'avvenire di Enrico Letta si preannuncia sui carboni ardenti, o sulle carbonelle, dalla Befana in avanti. Troppi errori, troppe figuracce, troppe marchette. Ad ammetterlo ormai ci sono non soltanto i «troppi nemici» denunciati dal premier nell'ultimo Consiglio dei ministri, ma anche molti amici. Veri, presunti o «interessati» (in molti casi, i più infidi).
I renziani, tanto per fare un esempio, non ne possono più del «filotto impressionante» di brutte figure rimediato da Letta e uno dei più stretti collaboratori del sindaco di Firenze, Davide Faraone, ieri con tweet e post su Facebook ha fatto i botti di fine anno. Altro che rimpasto il dieci di gennaio: «Non basta un ritocco, un rimpasto. O si cambia radicalmente o si muore». Faraone risparmia l'elenco delle sconcezze passate e si limita agli ultimi 13 giorni: «Una legge di Stabilità di galleggiamento, le slot machine, gli affitti d'oro, il provvedimento su Roma capitale. Mentre noi lavoriamo - scrive -... c'è chi brucia tutto». Fatale la truffaldina richiesta di fiducia alla Camera per mascherare un provvedimento-locomotiva con a bordo merce avariata. «Se chiedi la fiducia, se chiedi il sostegno in bianco ai deputati della maggioranza, lo fai per provvedimenti alti, utili per il Paese, non per legittimare decine e decine di inutili marchette. E poi sul Milleproroghe: si nominano nuovi prefetti, portati a 207 quando le prefetture sono la metà...». «Berlusconi non c'è più, ma l'esecutivo continua a non fare. Letta come Godot», rincara la dose Andrea Marcucci, guida del drappello renziano a Palazzo Madama. E «passi falsi», ammette persino il sanculotto Casini. «Se nel 2007 avessi detto a Prodi quello che dice Renzi a Letta sarebbe caduto il giorno dopo», aveva ricordato qualche giorno fa Veltroni. Così il problema vero, ormai, pare l'arrivo a fine corsa, uno sfasamento spiegabile solo dalla consapevolezza del capolinea. E sette soli senatori di maggioranza non bastano proprio più.
Il quadro plastico della situazione - più corretto parlare di «desolazione» - era ieri visitabile a Palazzo Madama. Deserto senatoriale imperante, ai pochi convenuti il presidente Grasso ha comunicato la rinuncia del governo al Salva-Roma e annunciato l'arrivo in Senato di un ben più fondamentale decreto, quello sul finanziamento pubblico ai partiti. Ma dopo la reprimenda di Napolitano alle Camere sull'«assalto alla diligenza», la polemica si sposta sulla riforma dei regolamenti. Grasso lancia un ultimatum ai presidenti delle commissioni: se i criteri di uniformità degli emendamenti non saranno rispettati, sarà lui a dichiararli «improponibili». In aula l'atmosfera si fa rovente tra il grillino Crimi e il presidente, quando Grasso ricorda a muso duro che gli emendamenti del Salva-Roma erano di «tutti i gruppi, anche il M5S». Crimi insorge, il battibecco rasenta l'incidente diplomatico. La stoccata a Napolitano la dà, dalla Camera, il vicepresidente Di Maio: «Si è svegliato dopo 8 mesi in cui ha firmato decreti omnibus». Nel frattempo, molta della carne infelicemente messa a fuoco nel Salva-Roma troverà posto nel Milleproroghe: «Un'altra norma fatta per gli amici degli amici», accusa Giorgia Meloni.
Rinviata a luglio, invece, l'entrata in vigore del provvedimento sulla web tax, regalo natalizio con un destinatario importante o «marchetta delle marchette», per dirla con Beppe Grillo. Si tratta di Carlo De Benedetti, sceso addirittura in campo per difenderla. Il perché lo spiega il capo dei Cinque stelle sul suo blog: «Il vero mentore del pdmenoelle è uscito allo scoperto per difendere una tassa che sarebbe più opportuno chiamare De Benedetti-tax, perché favorisce sfacciatamente e contro il diritto europeo la sua società di pubblicità, la Manzoni». Vero elettore del burattino Renzie e lobbista a tempo pieno in Parlamento grazie al pdmenoelle e ai suoi giornali, lo definisce Grillo. Che aggiunge: «Non ce l'ho mica con lo schiacciabottoni Boccia, l'avversario da battere è proprio lei, caro Ingegnere, perché la legge è disegnata su misura per i suoi interessi». In coda il veleno di un post scriptum: «Enrico Letta ha affidato alla Manzoni circa il 30 per cento del budget finora stanziato dal governo per la promozione della propria attività».

Dato plausibile che aiuta a capire, in effetti.

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