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Ecco i seimila "Sallusti" che finiscono in cella: a loro niente domiciliari

La legge svuota-carceri che la Procura di Milano vuole applicare a Sallusti è poco usata. Nel 2012 sono entrati in galera ben 5.995 condannati a meno di due anni

Ecco i seimila "Sallusti" che finiscono in cella: a loro niente domiciliari

Svuota-carceri uno e due, ma le celle sono sempre piene. Colme di detenuti entrati nelle patrie galere per scontare una pena breve. Brevissima. Quasi seimila, 5.995 per la precisione, solo nel 2012, con una condanna sulle spalle a 2 anni o anche meno. Molto meno. Proprio come il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, che però per il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati deve andare ai domiciliari.

Gli avvocati di rito ambrosiano protestano contro il presunto privilegio e non hanno tutti i torti: ci sono tanti disperati, e non solo disperati, costretti ad assaggiare il carcere per un periodo lungo come un battito di ciglia. Un pugno di settimane, quattordici mesi, come Sallusti, al massimo ventiquattro. A due anni è fissata per legge l'asticella della condizionale che dovrebbe aprirsi come un paracadute per evitare al malcapitato l'esperienza dietro le sbarre. Ma la condizionale può essere concessa una volta sola e in ogni caso non è automatica e non sempre viene accordata. Il giudice può negarla, proprio com'è accaduto a Sallusti, e allora sono guai. Certo, gli ultimi governi hanno tentato di tutto per sfoltire la popolazione carceraria che attualmente è arrivata a quota 66.500. E così a fine 2010 il guardasigilli Angelino Alfano ha lanciato lo svuota-carceri; per le pene (pure quelle residue) fino a 12 mesi. L'indicazione è quella della detenzione domiciliare. Paola Severino a febbraio si è incamminata sullo stesso sentiero, ampliando l'area della detenzione domiciliare fino a 18 mesi.

La legge prova a governare i flussi, ma non impone scelte alla magistratura. Il giudice di sorveglianza che si occupa della pratica Sallusti resta libero di stabilire le modalità di esecuzione della pena: carcere o detenzione a casa. E i numeri, forniti al Giornale dal Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dicono che gli ingressi in prigione, svuota-carceri o non svuota-carceri, sono sempre imponenti. Nel 2009 gli accessi alle galere sono stati in Italia 3.276 per pene fino a 1 anno e 4.031 fino a 2 anni; nel 2010 rispettivamente 3.293 e 3.990. Nel 2011, con la legge voluta da Alfano già operativa, sono finite in cella 2.733 persone con condanne fino a 1 anno e 3.722 fino a 2 anni. E nel 2012? La Severino ha allungato ancora lo scivolo, ma alla fine, per una ragione o per l'altra, gli accessi (aggiornati al 14 novembre scorso) sono stati rispettivamente 2.426 e 3.569. Per un totale di 5.995. Quasi seimila. Cifre che, a spanne, coinvolgono quasi il 10 per cento della popolazione carceraria.

Si può rimanere sorpresi da questi dati, ma al Dap offrono un ventaglio di spiegazioni. «Ci possono essere i recidivi, quelli che i giudici di sorveglianza ritengono pericolosi, pronti a delinquere di nuovo». E in questo caso la misura soft della detenzione domiciliare viene scartata. «C'è poi un secondo girone, composto in buona parte da stranieri, spesso abbandonati a loro stessi, con difensori d'ufficio che sanno poco o nulla dei loro clienti». E questi poveracci non chiedono nemmeno le misure alternative al carcere e vanno incontro al loro destino, senza porsi domande.
Siamo davanti a un piccolo esercito senza voce. La norma darebbe loro un aiuto, la magistratura ha deciso in altro modo, dopo aver pesato i fascicoli e studiato le personalità. Il caso Sallusti li colloca sotto i riflettori.

Almeno per oggi.

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