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"Meloni mi ha sorpreso positivamente". Parla Vincenzo Scotti, padre del 41bis

Più volte ministro, l'ex esponente democristiano compie oggi 90 anni: tra racconti sulle esperienze politiche e riflessioni sull'attualità, Scotti ci illustra mezzo decennio di politica

"Meloni mi ha sorpreso positivamente". Parla Vincenzo Scotti, padre del 41bis

Vincenzo Scotti compie 90 anni. È uno degli ultimi esponenti politici rimasto ad avere attraversato tutta la seconda metà del Novecento. Racconta la propria esistenza, tra sindacato, istituzioni e insegnamento universitario. Napoletano di origine, democristiano, è stato sette volte ministro e due sottosegretario, senza contare il mandato da sindaco di Napoli e le sette legislature da deputato. Da responsabile degli Interni, fu autore del decreto Scotti-Martelli che ampliò il 41 bis ai detenuti reclusi per mafia. Adesso è presidente della Link Campus University, fondata a Roma da lui stesso ventitré anni fa. Dal '94 ha smesso con la politica attiva, eccezion fatta per la parentesi di sottosegretario agli Esteri con l'ultimo governo Berlusconi. Da allora si è dedicato all'insegnamento. Nel giorno del suo novantesimo compleanno conferma di restare legatissimo a Napoli, la città che gli diede i natali. "Ma dovetti lasciarla presto".

Come mai?

"Mio padre, per ragioni di antifascismo, fu costretto a trasferirsi a Bari. Là ci rimasi per circa dieci anni. È stato il periodo più importante della mia formazione".

E poi?

"Nel 1951 andai a Roma per studiare all'università e, contemporaneamente, fui impegnato con Azione Cattolica a Roma, dove conobbi Carlo Carretto, presidente dei giovani dell'associazione. Si costituì un gruppo molto importante: c'era anche Umberto Eco. Nel 1954, in disaccordo con una parte importante del mondo ecclesiastico, noi fummo espulsi".

Era l'anno della morte di De Gasperi.

"Il suo incontro con lui, poco prima della sua scomparsa, e quello con Montini (il futuro Papa Paolo VI, ndr) furono molto importanti: ci sollecitò ad andare avanti nello studio e nei rapporti con quel settore ecclesiastico con il quale entrammo in polemica. Poi, arrivò la svolta con la conoscenza di Giulio Pastore, il fondatore della Cisl".

Che anni furono?

"Stavo finendo di studiare Economia e volevo prendere la borsa di studio, quando lui mi convinse di restare a Roma per entrare nell’ufficio studi. Lui ebbe la grande idea di costituire un sindacato non di classe, bensì un'associazione nel pluralismo sociale. Nel '58 venne nominato ministro dello sviluppo del Mezzogiorno e mi chiese di coordinare il gruppo tecnico di lavoro che doveva elaborare degli interventi straordinario per quell'area. Lavorai al suo fianco per dieci anni".

E nel '68 e lei entrò ufficialmente in politica, giusto?

"Esatto. Mi iscrissi alla Democrazia Cristiana e mi candidai alla Camera nel Collegio di Napoli, riprendendo così il rapporto con la città. Fui eletto e, dal '76, entrai nella lunga fase di governo: prima come sottosegretario al bilancio e poi come ministro. Il primo incarico fu al Lavoro nel '78, quando il Partito Comunista votò la fiducia al governo Andreotti e quando era importante intrecciare un rapporto politico con quella realtà durante il terribile periodo del terrorismo".

Lavorò anche sotto Spadolini e Cossiga?

"Sì, rispettivamente come ministro della Cultura e del coordinamento della Politiche comunitarie. Con Fanfani tornai al Lavoro e Previdenza sociale, mentre con Craxi mi occupai della neonata Protezione Civile".

E poi ministro dell'Interno quando venne ucciso Falcone: perché poi lei venne rimosso dal Viminale?

"Quella fu in assoluta l'esperienza politica più impegnativa. Dopo tutta la legislazione antimafia che avevamo fatto sotto il governo Andreotti, ci fu uno scontro di incomprensioni politiche. Nel giugno 1992 io chiesi di rimanere ministro dell'Interno anche con Amato, ma mi ritrovai agli Esteri. In quella tarda mattinata chiesi subito al presidente del Consiglio incaricato le ragioni. Con molto garbo mi rispose che i nomi dei ministri gli erano stati sostanzialmente consegnati dai partiti. Gli risposi subito che avrei presentato le dimissioni".

E cosa successe?

"Amato mi supplicò di restare alla Farnesina, in un momento economico difficile, almeno per partecipare al G7 a Monaco, al vertice della conferenza di Helsinki come delegato del premier perché insieme al ministro del Tesoro sarebbe dovuto rientrare a Roma per la crisi monetaria e finanziaria. Anche, poi, per divergenze sulla linea politica sull'antimafia con Scalfaro, me ne andai definitivamente dall’esecutivo dopo una cena con il ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Velayati".

Proprio lei che fu l'autore del decreto che inasprì il carcere duro ai mafiosi. A sinistra si era chiesto di alleggerirlo: è la strada da seguire?

"È assolutamente sbagliato. Se la mafia continua a governare il malaffare all’interno del carcere, allora è necessario continuare a spezzare il rapporto tra il dentro e il fuori. Non abbiamo risolto in maniera definitiva il problema e quindi non si può mettere in discussione il far saltare la rete, per quanto la mafia sia cambiata radicalmente. Insomma: smontare il 41 bis significherebbe dare il via alla sua demolizione".

Professor Scotti, che cosa ne pensa dell'azione del governo Meloni?

"Nessuno si aspettava che lei diventasse così attiva e presente sul piano internazionale, mi ha sorpreso positivamente da questo punto di vista, ma è arrivata con doti personali che non erano state minimamente considerate dall'attuale opposizione. Lei sta facendo uno sforzo enorme di tenere assieme un Paese articolato e frammentato politicamente che c'è da decenni. Ho apprezzato la sua apertura verso la Cina: ha capito che il mondo non è più diviso in due come una volta, ma è più complicato".

Le sfide attuali sono quelle sui migranti e sulla manovra: cosa potrà succedere?

"Le alleanze internazionali possono aiutare l'operato di Giorgia Meloni. Abilità ne ha sicuramente, ma deve avere più chiarezza al proprio interno. D’altra parte, però, l’Europa non può pensare di risolvere i problemi con delle semplici parole pronunciate da Gentiloni. E lui deve stare attento a prestarsi al Partito Democratico con l'obiettivo personale di salvarlo. Anche perché, con il 20%, non ci può essere sbocco possibile".

A proposito del Pd, come sta agendo questa opposizione?

"La debolezza totale della sinistra è evidente: il Pd non si rende conto che o diventa un partito istituzionale e fai una maggioranza coerente oppure finisce in un'agonia completa per la quale continui a fare alleanze di tutti i tipi senza essere una valida alternativa, come è successo in questo ultimo decennio".

Quale sarà, secondo lei, il futuro dell'Italia?

"Le sfide sono ancora tante: quella a Oriente è sicuramente tra le più importanti e affascinanti per i nostri interessi. Sono poi molto incuriosito da questo Piano Mattei della Meloni, anche se dovrà essere sviluppato molto bene. Mi è piaciuto come si sta muovendo sulla guerra in Ucraina. Poi l'anno prossimo si terrà il G7 proprio qua in Italia.

Insomma: le occasioni per rafforzare il nostro ruolo politico non mancheranno".

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