Cronache

La politica vigliacca si sfila sull'eutanasia

Napolitano ha ri­cordato che bisogna af­frontare il problema. Ma i parlamentari fanno orecchie da mercante

La politica vigliacca si sfila sull'eutanasia

Quando martedì scorso Giorgio Napolitano ha ricordato al Parlamento che prima o poi bisognerà affrontare il problema dell'eutanasia, il Palazzo ha reagito come al solito. Nessuno ha osato mandare al diavolo il presidente, ma tutti i politici (o almeno la maggioranza) hanno pronunciato frasi generiche, evasive, tipiche di chi non ha alcuna voglia di affrontare un tema tanto scottante: occorre approfondire, è necessario valutare, aprire un confronto. Formule classiche per prendere tempo, rimandare, ignorare.

Non siamo sorpresi dall'insensibilità di deputati e senatori (di qualsiasi orientamento) alle questioni etiche. Dubito infatti che essi abbiano un'etica. La nostra non è banale polemica anticasta, ma una semplice constatazione. Il lettore rammenterà il caso di Eluana Englaro, la ragazza da anni in coma alla quale fu sospesa l'alimentazione su ordine della magistratura affinché morisse. In quei giorni drammatici l'opinione pubblica reagì in vari modi: chi era favorevole e chi contrario alla decisione del giudice. Governo, Camera e Senato intervennero tardivamente e la sentenza fu eseguita. Ancora una volta, in assenza di normative chiare e inequivocabili, l'ultima parola fu quella di una toga.

Ovvio, in un Paese in cui la politica si sottrae ai propri doveri, c'è sempre qualcuno che la rimpiazza. In Italia, questo qualcuno è immancabilmente un magistrato. Se andiamo avanti così, presto ci troveremo un Pm sotto il letto o addirittura dentro il frigorifero. Ironia a parte, dobbiamo riconoscere che la vicenda Englaro smosse le acque. Per mesi i partiti dibatterono intensamente di testamento biologico. Il quale a un certo punto sembrò in dirittura d'arrivo. Illusione ottica. Il provvedimento si perse nei meandri tortuosi del Palazzo. Cosicché del testamento biologico ora non c'è un cane che si occupi. Probabilmente in Italia non si legifera per andare incontro alle esigenze del popolo. Questo è l'ultimo dei pensieri di chi mena il torrone a Roma. Si agisce soltanto se si ha la sicurezza di non scontentare nessuno. Poiché ciò è impossibile, assodato che non si può piacere a tutti, ecco che prevale sempre l'immobilismo. I problemi non si risolvono, si lasciano marcire nella speranza che la gente dimentichi. E in effetti dimentica.

L'aborto passò perché all'epoca il referendum era giudicato sacro. Oggi solo a nominarlo si provoca l'orticaria ai cittadini. Poi venne il momento della fecondazione assistita. Urge disciplinarla, protestarono coloro i quali l'avevano a cuore. E fu disciplinata in un modo che grida vendetta. Udite. L'embrione è intoccabile. Non lo puoi eliminare. È illegale scegliere il più sano. Prendi quello che capita e zitto. L'embrione - che è una vita potenziale - ha la stessa dignità del ragazzino, gli stessi diritti. Se invece, poniamo, quell'embrione diventa un feto - praticamente un bimbo piccolissimo - è facoltà della mamma sbarazzarsene per molteplici motivi. Vi pare ragionevole? Uccidere un bebè in formazione è lecito; viceversa affidare un embrione alla scienza è un delitto orrendo.

La politica accetta tutto, anche il peggio, pur di non avere grane con gli elettori, con i preti, con i moralisti un tanto al chilo. E torniamo al punto di partenza: l'eutanasia invocata da Napolitano. Vigliacco chi ne discetta. Togliersi o togliere la vita, anche quando non sia più davvero tale, è reato grave e peccato gravissimo. Sulla carta. In realtà ciò avviene quotidianamente in strutture ospedaliere nella più assoluta indifferenza. Non lo diciamo noi che non siamo né medici né infermieri né addetti alle pompe funebri. Lo ha autorevolmente accertato l'Istituto Mario Negri (quello fondato da Silvio Garattini, per giunta cattolico). Nei reparti che non è assurdo definire anticamere della morte, dove cioè giacciono quelli che hanno già un piede nella fossa, su 30mila persone defunte, 20mila sono volate all'altro mondo con l'ausilio del medico, secondo i principi della cosiddetta «desistenza terapeutica».

Che significa? Cure sospese in toto, escluse quelle antidolorifiche. Se ti pompano in vena una dose di morfina sufficiente a non farti patire, il trapasso sereno e anticipato è garantito. Questa soluzione pietosa come la vogliamo chiamare? Misericordia o eutanasia? È lo stesso. Ma l'ipocrisia imperante impone di non dire le cose come stanno; è obbligatorio tacere o ricorrere a sinonimi dolci, a eufemismi. Se ti sfugge dalla bocca il sostantivo eutanasia, rischi l'emarginazione nel girone infernale dei senzadio, e il medico compassionevole che ha accompagnato il sofferente sulla barca di Caronte se non fila in galera è un miracolo.

Però ci scandalizziamo se Napolitano suggerisce di non trascurare ulteriormente l'opportunità di approvare una legge sulla materia. Intendiamoci. Serve procedere con prudenza, data la delicatezza della questione.

Ma fingere che non esista l'urgenza di studiare una regola è più di una follia: è incoscienza, crudeltà, un obbrobrio.

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