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"Falliti", "insopportabili", "tecnocrati": quando la sinistra attaccava i commissari europei

Prodi, Renzi, Di Maio: in passato non sono mai mancati pesante critiche da parte di esponenti di governo in carica dell'area progressista contro la Commissione Ue soprattutto in campo economico. Ecco alcuni esempi

Il commissario europeo all'Economia Paolo Gentiloni
Il commissario europeo all'Economia Paolo Gentiloni

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"Falliti", "insopportabili", "tecnocrati": quando la sinistra attaccava i commissari europei

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C'è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui importanti esponenti del centrosinistra andavano addosso ai commissari europei agli Affari economici. Sì, non erano italiani come Paolo Gentiloni, ma i toni aspri utilizzati pubblicamente dai progressisti non erano minimamente paragonabili a quelli nettamente più moderati usati più recentemente da Matteo Salvini e Giorgia Meloni contro l'ex presidente del Consiglio. Il Partito Democratico ora si straccia le vesti per le critiche politico-istituzionali giunti dal leader della Lega e di Fratelli d'Italia, con la Schlein che ha parlato dal palco della festa dell'Unità di "attacchi scomposti di un governo che cerca di celare la sua incapacità nel dare risposte sul terreno economico e sociale", elogiando allo stesso tempo un Gentiloni che fa parte del suo stesso movimento. Ma le lezioni di "stile" da parte dei dem possono durare ben poco se solo si facesse qualche passo indietro nel tempo.

L'attacco a testa bassa di Fassina

Prendiamo, per esempio, il caso di Stefano Fassina. Nelo novembre 2011 era il responsabile nazionale Economia e Lavoro del Partito Democratico dell'allora segretario Pier Luigi Bersani e si rivolgeva così al commissario economico, Olli Rehn: "Le indicazioni riproposte oggi per la crescita dal commissario europeo Rehn sono deprimenti sul piano intellettuale prima che economico. Dopo un trentennio dominato dalla flessibilità del lavoro e dalla moderazione salariale - aveva proseguito -, che sono le cause primarie della drammatica e infinita crisi in cui siamo immersi, oggi il commissario europeo agli Affari economici insiste su maggiore flessibilità del lavoro e maggiore moderazione salariale. Se la Commissione Ue e la signora Merkel si ostinano ad imporre idee fallite, l'euro e l'Ue sono davvero a rischio". Insomma, non esattamente una tenera carezza alla Comunità europea.

Di Maio strillava per il reddito

Si dirà: Fassina non era un autorevole esponente di governo. Andiamo allora nell'ottobre 2018, quando in carica c'era il Conte 1. Il Movimento Cinque Stelle chiedeva a gran voce alla Commissione europea di allargare le maglie del rapporto deficit-pil almeno fino al 2,4% per consentire di utilizzare i fondi per il nascente reddito di cittadinanza. Il francese Pierre Moscovici (responsabile economico del governo Ue) non era esattamente d'accordo con questo tipo di richiesta. Il vicepresidente del Consiglio pentastellato sbottò: "Il suo atteggiamento è veramente inaccettabile e insopportabile. Non si deve permettere. È una persona totalmente scollegata dalla realtà e che tra otto mesi non esisterà più. Questi giudizi ignobili contro l'Italia alla fine si scontreranno contro le prossime elezioni europee, quando verrà mandato a casa dai cittadini. A questi signori una lezione non gliela daremo noi come governo, ma il popolo italiano".

Prodi e Renzi inflessibili contro i commissari Ue

Nel centrosinistra ci sono poi stati almeno due grandi casi di presidenti del Consiglio in carica che sicuramente non le avevano mandate ai predecessori di Gentiloni. Il proverbialmente mansueto Romano Prodi, nell'ottobre 2007, non si era proprio trattenuto nel momento in cui il commissario Joaquin Almunia aveva sfidato direttamente il governo italiano sul fatto di impegnare maggiori risorse per il deficit. "Uno può anche chiudere il deficit in un anno. Poi chiude anche il Paese. Io non ci sto - fu l'amaro sfogo del Professore -. Ai cronisti presenti a Bruxelles era stato particolarmente inflessibile: "Seguo le regole Ue scrupolosamente - disse -. Ma non faccio di più se penso che questo ponga freno allo sviluppo dell'Italia. No, non manderò a picco il Paese".

Non fu da meno - e in più occasioni - Matteo Renzi tra il 2014 e il 2016. Da poco insediato a Palazzo Chigi, l'ex sindaco di Firenze si presentò sulla scena internazionale da premier con questa frase: "È cambiato il clima per l'Italia. In Europa non vado con il cappello in mano e a farmi spiegare cosa fare. Non ci faremo dettare la linea dai tecnocrati di Bruxelles". Concetto ribadito due anni esatti dopo a Jean-Claude Juncker, a proposito delle spese per i terremotati nel Centro Italia: "Il tempo dei diktat è finito - strigliava -. Abbiamo avuto tre terremoti in sette anni. Ricostruiremo e metteremo in sicurezza, e piaccia o non piaccia quelle spese saranno fuori dal Patto di stabilità: sono spese che riguardano la stabilità dei nostri figli".

E menomale che gli attacchi "scomposti" erano quelli del centrodestra.

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