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La festa (inutile) di chi disonora la Repubblica

La cerimonia militare è ridicola e anacronistica. L'Italia si ferma per compiacere la dabbenaggine di chi è al vertice

La festa (inutile) di chi disonora la Repubblica

Partiamo dal principio che noi aboliremmo tutte le feste, comprese alcune di quelle comandate, non si sa da chi. Per esempio: il 26 dicembre, la cosiddetta seconda di Natale. Non basta la prima dedicata a Gesù? Il quale tra l'altro dubito che sia nato in inverno visto che i pastori - si narra nelle Sacre Scritture - quella notte dormivano all'addiaccio, cosa da sconsigliarsi in certe stagioni anche nella zona di Betlemme, dove il clima è pressappoco come il nostro, orrendo. Probabilmente egli vide la luce in autunno. Chessò, in ottobre quando la temperatura consente di pernottare all'aperto. Ma questi sono dettagli su cui sorvoliamo per non innervosire Papa Francesco, cui va il nostro rispetto interessato: mai mettersi contro un pontefice. Porta iella. Ne sa qualcosa Umberto Bossi che, appena ebbe terminato di inveire pubblicamente contro Giovanni Paolo II, venne fulminato da un ictus, le cui conseguenze lo segnano ancora vistosamente.
Osiamo però domandare ai principi della Chiesa: che senso ha equiparare nel calendario Gesù (il Natale è sacro, celebriamolo con tutti i fasti necessari) a Santo Stefano, le cui opere saranno pure importanti, ma sconosciute a noi poveri tapini digiuni di cultura cattolica?
Oddio. Non si pensi che ce l'abbiamo con questo povero martire. Ci limitiamo a domandarci perché, allo scopo di ricordarlo degnamente, sia necessario astenersi dal lavoro il giorno a lui riservato. Ci rendiamo conto che ciò discrimina gli altri santi a cui, invece, nel dì della loro commemorazione, ci guardiamo bene dal rendere adeguato omaggio con il riposo? In sintesi. Perché Santo Stefano merita una sosta lavorativa, mentre San Giorgio, per esempio, no? Vabbé. Transeat.
Veniamo alla seconda di Pasqua, festa dell'Angelo. Capisco fermarsi per rammentare in religioso silenzio la resurrezione del Figlio, che è poi anche un po' padre: in fondo non capita a tutti di essere crocefissi e, a distanza di tre giorni, tornare al mondo dimostrando urbi et orbi che trattasi di evento miracoloso. Ma l'Angelo che c'entra? D'accordo, è un essere celeste e non un pisquano qualsiasi, quindi davanti a lui occorre togliersi il cappello: ma perché dobbiamo anche stare a casa anziché recarci in ufficio come al solito? Chi crede di essere, Dio? Non vogliamo sottovalutare gli angeli, specialmente i più importanti, ma non si mettano in testa di dividere equamente la scena con un membro della Trinità.
Il mio tono è scherzoso, ma la sostanza di ciò che scrivo è seria. Il miglior modo per rendere grazia al Padreterno e ai suoi congiunti non è quello di bighellonare, ma di darci dentro col lavoro in ossequio a una raccomandazione che viene dall'alto: ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte. Badare bene: più che una raccomandazione, questa ha il sapore acre di una minaccia. Varrebbe la pena di tenerlo presente. Macché. Noi umani abbiamo riempito il calendario di pretesti per grattarci il ventre.
Coi santi mi fermo qui. Mai esagerare, sarebbe imprudente per la nostra incolumità. Ma ci sarebbero altri martiri e similari (per esempio i patroni) da citare, davanti ai quali, anziché congiungere le mani, incrociamo le braccia quali scioperanti.
L'abitudine di non fare un tubo è anche laica. Molto laica. Il 25 Aprile, festa della Liberazione dai fascisti, cioè da noi stessi, dato che fino al giorno prima eravamo tutti in camicia nera, salvo indossare subito dopo quella rossa per ragioni di mera sopravvivenza, non andrebbe eliminato. Anche perché non sarebbe lecito saltare dal 24 al 26 aprile. Però cessiamo di considerarla una data talmente sacra da esimerci dall'obbligo di timbrare il cartellino. Siamo o non siamo in bolletta? Cerchiamo di non immiserire il portafoglio per il gusto di andare in piazza a dire e ascoltare banalità. O saremo sempre indigenti.
Lo stesso discorso vale per il 15 agosto. In quale altro Paese, poi, si fa baldoria il 1° maggio? Solo in Italia, dove il lavoro non c'è. Siamo all'assurdo. Eppure non c'è mai stato un governo abbastanza provveduto da cancellare la consuetudine di trasformare in fannulloni i cittadini che avrebbero necessità di guadagnare. Non scordiamoci che l'unico modo per esaltare l'occupazione è quello di sgobbare, consentendo alle aziende - ossia ai datori di lavoro - di non pagare chi si imbosca. Chiaro il concetto?
E veniamo alla più stupida delle ricorrenze, quella del varo della Repubblica, che si celebra il 2 giugno in maniera squallida: parate militari, sfilate, ostentazione di armamenti secondo lo stile becero in voga ai tempi in cui lo sfoggio della forza faceva parte dell'etichetta fascista. Ridicolo. La leva non è più obbligatoria, a fare il soldato ci vanno soltanto gli sfigati altrimenti condannati alla disoccupazione, la retorica patriottica ha fatto il suo tempo e non commuove neppure chi la alimenta per dovere d'ufficio. Roba da chiodi.
Ieri si è assistito all'esibizione di un fasto formale degno degli Anni Trenta, quando Mussolini si illudeva di avere un esercito potente quando, viceversa, era sgangherato e patetico. Abbiamo visto in mostra più musicisti in divisa che militari e una pletora di crocerossine inattive, che sarebbero maggiormente utili in ospedali civili. Che pena. Tutto ciò per compiacere Giorgio Napolitano, un ex comunista rimasto tale nell'animo. Fanfare a parte, nessuno che abbia avuto il coraggio di difendere i marò in attesa di giudizio in India, abbandonati a loro stessi nell'anticamera del carcere. La colpa che gli attribuiscono è di aver compiuto un dovere. Chi li difende? Nessuno. Essi sono stati comandati di consegnarsi ai loro aguzzini: improvvidamente hanno ubbidito. Grave errore? Facevano meglio a mandare al diavolo la patria e le sue regole del menga, e a rimanere in Italia, a casa propria. Dare retta a Napolitano è stato un suicidio. Intanto la Repubblica festeggia.

Cosa? La dabbenaggine di chi ne è al vertice.

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