Cronache

"Il fisco mi perseguita per un condono del '76"

La disavventura di un ex edicolante di Milano: ha pagato 5 milioni nell’82, la Commissione tributaria ora chiede le ricevute

"Il fisco mi perseguita per un condono del '76"

Sembra finta. Ma è una storia vera, verissima. Sembra un incubo, ma invece è la solita realtà che supera la fantasia di quell'Italia surreale che si ostina ad acchiappare nuvole.

È la storia del signor Gioacchino Mennuni, 67 anni, di cui gran parte dei quali trascorsi nel mondo del commercio. Un edicola prima, poi un locale, poi un bar, il Bar Cinque Vie, a due passi da piazza Affari, ombelico della Milano e dell'Italia che bada al sodo e va dritto al cuore del problema. Certo che se il problema non ha un cuore, ma tante mille sfaccettature alle quali è facile aggrapparsi esattamente come è facile aggrapparsi ad uno specchio, allora le cose si complicano. Già, perché il problema di Mennuni si chiama Agenzia delle Entrate.
E si traduce in una raccomandata, ricevuta qualche giorno fa, della Commissione Tributaria Centrale sezione di Milano sede di via Vincenzo Monti, 51 con la quale, citiamo testualmente: «... Ai sensi dell'articolo 27 comma terzo del DPR 26 Ottobre 1972 e successive modificazioni si comunica che il giorno 17 ottobre 2012 alle ore 15 nei locali della sede di questa Commissione il collegio sopra indicato discuterà il ricorso... riguardo agli accertamenti Irpef e Ilor degli anni 1976-1978...».

Anno 1976. Trentasei anni fa. Non ci sono errori di trascrizione né di battitura. È solo e soltanto preistoria. Preistoria di una vita lavorativa, di un contribuente, di una persona per bene a cui l'altra mattina mentre scodellava sul bancone del suo bar, cappuccio e brioche per il cliente di turno, è montata una po' di schiuma in più. Schiuma di rabbia e di impotenza. L'impotenza di poter dimostrare di aver fatto tutto a suo tempo a regola d'arte. Di aver pagato la cifra, concordata con il fisco, cinque milioni di lire di allora, poi di aver fatto ricorso e poi anche di aver approfittato di un condono varato ad hoc nel 1982 e del quale ovviamente approfittarono tutti gli altri suoi colleghi dell'epoca.

Perché all'epoca il signor Mennuni era dentro un'edicola in via Padova a Crescenzago a distribuire giornali, riviste e figurine. E all'epoca, parliamo sempre di 36 anni fa, giova ricordarlo, il Fisco decise un bel giorno di andare a ficcare i naso nei guadagni veri e presunti degli edicolanti milanesi. Per questo Mennuni e altri suoi diciotto colleghi decisero di muoversi in gruppo, una sorta di class action, per intenderci, e di affidarsi al commercialista di categoria: «Aspetti un attimo, come si chiamava? Ce l'ho sulla punta della lingua il nome, massì, ecco, il ragionier Biraghi, fu lui che si mise a seguire tutto il contenzioso a nome della categoria e fu lui a concordare con il Fisco la cifra che ognuno di noi avrebbe dovuto versare per chiudere ogni sospeso e non aver più problemi». Si affanna a frugare nella memoria e nei cassetti, il signor Mennuni ma se la memoria, giustamente, latita, anche i cassetti sono vuoti di quei pizzini di prova che adesso il Fisco pretende. Perché una persona normale, in ossequio anche alla legge che lo prevede, dopo 36-anni-36 si sente ampiamente autorizzata a buttare ricevute, fatture e scontrini. Ma il Fisco no, implacabilmente reclama quelle prove probanti per il semplice motivo che il Fisco invece i cassetti e i faldoni, polverosi e ingialliti ce li ha ancora, li conserva ancora mostrando una volta di più di andare contromano nella corsia del buon senso.
«Faccio fatica, davvero fatica - ammette sconsolato Mennuni - a ricordarmi la scansione di quella vicenda. So per certo che tutti abbiamo pagato. Poi abbiamo fatto ricorso seguendo il previsto iter procedurale e che poi, qualche anno dopo, intervenne il condono a chiudere definitivamente la vicenda. Ora invece scopro che non è così. Scopro che per il Fisco sia il ricorso e sia, evidentemente, il condono non valgono e verranno rimessi in discussione il 17 ottobre. Sembra che per la legge non possa presentarmi io a difendere le mie ragioni, ma che dovrò delegare un avvocato o un commercialista per far valere i miei diritti davanti alla Commissione Tributaria, ma io quel giorno ci voglio andare. Perché ho il diritto di dire la mia, sono in regola. Ed è inammissibile che dopo 36 anni mi ritrovi davanti questa storia. Pensi che io l'edicola l'ho ceduta nel 1991 e poi ho fatto in tempo a cambiare altre due attività». Inammissibile certo.

Ma tra le Cinque Vie sulle quali il suo bar si affaccia, manca proprio Via della Logica.

Chiusa al traffico dalla più stolta delle burocrazie.

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