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Gas siriani a Gioia Tauro: è rivolta

Gas siriani a Gioia Tauro: è rivolta

«Not in my backyard». Ovvero «Non nel mio cortile». In inglese o in italiano poco cambia. Le armi chimiche a casa propria non le vuole nessuno. Neppure un porto come Gioia Tauro dove nell'ultimo anno sono state scaricati, spostati e trasferiti 1508 container con dentro 29802 tonnellate di sostanze chimiche di categoria 6. 1, perniciose quanto i più micidiali gas siriani. Ma quando ci sono di mezzo i rischi di dimostrazioni e proteste gli amministratori locali alzano la voce. Così ieri il primo a intimare l'altolà è il sindaco di Gioia Tauro Renato Bellofiore sparando a zero sul ministro Emma Bonino accusato di mettere a rischio la cittadinanza. «Non mi avevano informato… Se succede qualcosa la popolazione mi viene a prendere con un forcone… È gravissimo, forse il ministro Bonino non sa cos'è la democrazia… Siamo considerati una popolazione di serie B. Tra l'altro, qui non c'è un ospedale attrezzato». E a Bellofiore s'associa Domenico Madaffari, sindaco del comune di San Ferdinando da cui dipendono le banchine dove si svolgerà il trasbordo dei 60 container con le 560 tonnellate di componenti primari per la fabbricazione di gas sarin e di agenti nervini come il Vx destinati alla distruzione per idrolisi a bordo della nave americana Cape Ray.
«Stiamo valutando di emettere un'ordinanza per chiudere il porto» – dichiara il sindaco dopo la riunione congiunta delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato in cui il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi ed Emma Bonino comunicano la scelta del porto calabrese. Una scelta rivolta, probabilmente, proprio a ridurre al massimo incognite, incertezze e illazioni. Se per il trasbordo si fosse preferita una struttura militare come i porti di Taranto, Augusta, Gaeta o Capo Teulada, sottoposti a vincoli di riservatezza in ambito Nato ed esenti da controlli, sarebbe stato facile alimentare l'ipotesi di un operazione coperta dal segreto. E si sarebbe offerta la possibilità - in casi d'imprevisti - di un temporaneo immagazzinamento all'interno delle strutture militari. Scegliendo un porto commerciale come Gioia Tauro, il più importante del Mediterraneo per la gestione di sostanze chimiche e per il trasferimento di container da nave a nave (3,5 milioni di pezzi movimentati nel 2008) non c'è invece spazio per gli imprevisto. Non appena la nave danese Ark Futura e quella norvegese Taiko arriveranno da Latakia i 560 container con livello di pericolosità 6.1 verranno trasferiti in meno di 48 ore sulla Cape Ray che si sposterà in acque internazionali per procedere all'idrolisi all'interno delle due camere stagne montate a bordo. L'operazione di disarmo - coordinata dall'Onu, gestita dall'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opcw) e definita dal ministro Bonino «la più importante degli ultimi dieci anni» deve però far i conti con le incognite della guerra, del tempo e degli uomini.
La nave americana Port Ray, elemento chiave per la distruzione dei componenti primari, non ha ancora lasciato le banchine di Portsmouth e non raggiungerà Gioia Tauro prima della fine mese. Ma la sua presenza potrebbe rivelarsi superflua anche in quella data. Per ora le navi Ark Futura e Taiko, alla fonda al largo delle coste siriane, attendono di mettere in stiva qualcosa di più della decina di container caricati finora. Ma al porto di Latakia sono arrivate solo 16 delle 560 tonnellate di sostanze ad alta pericolosità destinate a venir trasferite in Italia. Gran parte delle 1.290 tonnellate di armi, sostanze e precursori individuate in 12 siti siriani e destinati, in teoria, a raggiungere Latakia entro lo scorso 31 dicembre sono bloccati dai combattimenti che rendono impossibile, in mancanza di una tregua, un trasferimento sicuro.

E ieri Ahmet Uzumcu, direttore dell'Opcw, ha ammesso che l'operazione non terminerà prima della fine di giugno.

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