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Il Giurì finisce in farsa: Avs e Pd lasciano, Conte chiede lo scioglimento

Il leader 5s chiede lo scioglimento della Commissione da lui richiesta per dirimere la contesa con Meloni sul Mes. Avs e Pd lasciano: "Manca imparzialità". Ma non si erano mai lamentati prima

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Finisce in farsa la vicenda del Giurì d'onore chiamato - su richiesta di Giuseppe Conte - a giudicare la fondatezza delle accuse sul Mes che il premier Giorgia Meloni aveva rivolto al leader pentastellato. Quest'ultimo, indignatissimo per la strigliata ricevuta in Aula dal presidente del Consiglio, aveva chiesto la convocazione della commissione per tutelare la propria onorabilità. Ma ora, proprio mentre il verdetto dell'organo si avvicinava, è saltato il banco. Nelle scorse ore, infatti, Conte ha consegnato al presidente della Camera Lorenzo Fontana (e per conoscenza al presidente della Commissione, Giorgio Mulé) una lettera in cui chiede l’immediato "scioglimento" del Giurì.

Il motivo del passo indietro? Secondo Conte, sarebbero venuti meno i requisiti di imparzialità della commissione. E questo, a seguito delle dimissioni a sorpresa dei membri di Pd e Avs, rassegnate oggi durante la riunione che avrebbe dovuto mettere a punto a relazione finale da presentare entro venerdì. "Mi sono dimesso perché la ricostruzione documentale, l'unica che conta, non può essere oggetto di interpretazioni di parte", ha fatto sapere il deputato di Avs, Filiberto Zaratti. E a stretto giro sono arrivate le motivazioni del collega dem Stefano Vaccari, esposte in una lettera indirizzata a Fontana e al presidente della Commissione, Giorgio Mulè.

"Sono prevalse interpretazioni e motivazioni di natura politica", ha sostenuto il deputato dem, secondo il quale il Giurì, "come stabilito dall'articolo 58 dello statuto della Camera, deve mantenere un profilo di terzietà e limitarsi ad accertare il fondamento o meno delle accuse rivolte di un parlamentare in aula nei confronti di un altro collega, verificare i fatti per come si sono svolti alla luce della documentazione acquisita". Invece - ha lamentato ancora il dem Vaccari - "nella relazione che ci è stata sottoposta dal Presidente, sono prevalse alcune motivazioni, ancorchè significative, di ordine politico e interpretative che contrastano con la realtà dei fatti accertati e rendono evidente la volontà della maggioranza di avvalorare la versione accusatoria della Presidente Meloni".

Una versione che ha lasciato alquanto di stucco il presidente del Giurì. Da parte sua, infatti, Giorgio Mulè si è detto "sorpreso e amareggiato dalla decisione improvvisa" degli onorevoli, perché "mai e in nessuna occasione, mai e in nessuna forma, fin dalla prima seduta del 10 gennaio e per le successive sei, gli onorevoli Vaccari e Zaratti avevano manifestato alcuna lagnanza, sollevato alcuna protesta, presentato alcun reclamo, palesato rimostranze rispetto all'organizzazione e all'evolversi dei lavori". Al contrario - ha concluso Mulè - di due "avevano sempre manifestato spirito collaborativo e istituzionale nell'assolvimento dell'incarico ricevuto".

Domani mattina sarebbe prevista una nuova e decisiva seduta, e bisognerà vedere se il Giurì si riunirà e se prenderà una decisione. Intanto, Conte batte idealmente i pugni e fa trapelare sconcerto, sostenendo che sarebbero venuti meno "i presupposti di terzietà e la possibilità di pervenire a una ricostruzione imparzialè scevra da strumentali interpretazioni di mero carattere politico".

Ma come mai, se davvero non si erano mai lamentati, i due parlamentari hanno strappato proprio ora? Un tempismo quantomeno curioso.

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