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La giurisprudenza nel resto del mondo: Italia caso a sé

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Ue, la Corte di Strasburgo: no ai cronisti in carcere

Anche l’Unione europea si è espressa chiaramente sul tema del carcere per i giornalisti. Da ultima, nell’aprile 2009 (ricorso 2444/07, Kydonis), la Corte europea di Strasburgo ha sentenziato: «Il carcere, ancora previsto in casi di diffamazione a mezzo stampa negli ordinamenti dei Paesi membri, ha un effetto deterrente sulla libertà del giornalista di informare », con conseguenze altrettanto negativo per lacollettività che ha il diritto ricevere informazioni e opinioni. Una circostanza che avviene pure quando il carcere è convertito in ammende pecuniarie e la pena è sospesa. Le pene detentive per chi esercita la professione di giornalista non sono nemmeno compatibili con la libertà di espressione sancita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, dice la Corte europea, il carcere potrebbe essere previsto solo per chi incita alla violenza o all’odio.

Gran Bretagna, materia depenalizzata presto anche sul web

Dal 2009 nel Regno Unito la diffamazione a mezzo stampa non è più un reato. La svolta rispetto al passato è avvenuta per mezzo del « Coroners and justice act », un’ampia riforma che introduce la depenalizzazione di tutti i reati che riguardano la sfera dell’opinione e della diffamazione (in particolare, « defamation, sedition and seditious libel, defamatory libel, obscene libel »).L’Inghilterra e Galles dunque si sono messi sulla strada della difesa totale della libertà d’espressione, con l’intenzione di estendere le stesse tutele anche al panorama dei media digitali.

Usa, in 33 Stati su cinquanta la diffamazione non è reato

Culla indiscussa del liberalismo, negli Usa la legge sulla diffamazione trae fondamento dal Common Low inglese e s’inserisce nel Primo emendamento alla Costituzione, in una linea di continuità che ha radici due secoli addietro. Per essere diffamante, il contenuto deve essere falso; per essere diffamante, il contenuto falso deve essere «motivato da intenzioni malevoli » ( motivated by malice ). E in 33 Stati su 50 il reato non è nemmeno perseguito. Insomma lo strumento della querela per diffamazione non deve mai deve trasformarsi in un bavaglio.

Svizzera, nessuna sanzione se c’è buona fede

Alle porte del nostro Paese la regolamentazione della fattispecie diffamatoria è molto diversa da quella italica. Qui «chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rendesospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla reputazione (...) è punito, a querela di parte, con una pena pecuniaria sino a 180 aliquote giornaliere ». Mai il carcere. Il giornalista inoltre non incorre in alcuna sanzione se prova di aver detto o divulgato cose vere oppure prova di avere avuto seri motivi di con­siderarle vere in buona fede.

Francia, il processo è penale come da noi, ma sfocia soltanto in un’ammenda

In Francia la diffamazione a mezzo stampa conserva profili penalistici, eppure la pena è praticamente sempre un’ammenda, il cui importo varia a seconda della qualifica della vittima offesa. Di recente l’ex presidente Sarkozy aveva annunciato una riforma per la depenalizzazione del reato, eppure il maggiore sindacato di giornalisti francese (Snj) s’era dichiarato contrario: «La procedura penale, infatti, è più vantaggiosa rispetto al procedimento civile. C’è una giurisprudenza, che inquadra il giudizio nell’ambito del rispetto delle libertà pubbliche fondamentali».

Svezia, la libertà d’espressione è legge costituzionale

La Scandinavia da anni vanta il primato tra i Paesi in cui si gode il massimo della libertà di stampa e di espressione, come ha certificato anche l’ultimo rapporto Freedom House e Reporter senza frontiere, che ha collocato Norvegia, Svezia e Finlandia sul podio ideale dell’informazione senza bavaglio. In Svezia, per comprenderci, la legge sulla libertà di stampa e di espressione è considerata fondamentale al pari di quelle sull’ordinamento costituzionale e l’ordine di successione dinastica. La diffamazione è punita con una sanzione solo pecuniaria.

Croazia, Serbia e Macedonia, basta punire le opinioni

Già nel 2006 la Croazia, che ambisce a far parte a pieno titolo dell’Unione europea, ha escluso il carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Così il Paese affacciato sull’Adriatico ha seguito del resto l’esempio di Serbia e Macedonia. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ha negoziato con il governo una modifica in senso liberale della legge dopo che diversi cronisti locali avevano subito l’arresto.

Germania, multe anche pesanti però mai in prigione

In Germania, come in Francia, la diffamazione a mezzo stampa - e il correlato omesso controllo nel caso del direttore della testata - è considerata un reato penale piuttosto che un illecito civile. Nella giurisprudenza tedesca il giornalista che al termine dei gradi di giudizio venga ritenuto colpevole è assoggettato a una pena alternativa (sanzione pecuniaria) che può essere anche particolarmente ingente, ma mai condannato a scontare giorni, mesi o anni di carcere.

Nella prassi, quindi, la diffamazione a mezzo stampa è ritenuto un reato di minor gravità.

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