Cronache

"Ho ricostruito l'arca di Noè: costa 17mila euro al giorno"

Con 130 persone si prende cura 24 ore su 24 di 1.250 animali di 256 specie. "Molte quasi estinte. La cattività? Unico modo per salvarle. Lo dice l'Onu"

Cesare Avesani Zaborra con due lemuri nel "Centro tutela specie minacciate"
Cesare Avesani Zaborra con due lemuri nel "Centro tutela specie minacciate"

Se non è la riedizione dell'arca di Noè, poco ci manca: 1.250 animali di 256 specie diverse. Un piccolo campionario rispetto alle 6.000 specie di soli mammiferi descritte sul globo terracqueo. E un niente a confronto col totale di quelle ipotizzate, 10 milioni, per il 90 per cento formate da insetti. Ma non vi è nessun'altra struttura in Italia dove 130 persone si prendano cura per 365 giorni l'anno, 24 ore su 24, di un numero maggiore di specie dichiarate a rischio d'estinzione dall'Iucn, l'Unione mondiale per la conservazione della natura: dal panda rosso all'orso dagli occhiali, dallo scimpanzé al rinoceronte bianco, dal leopardo delle nevi alla tigre siberiana. Alcuni esempi? L'avvoltoio reale indiano è al 90 per cento scomparso in India e nel mondo ne restano soltanto 17 esemplari in cattività: 5 sono qui. L'orice dalle corna a sciabola, antilope originaria dell'Arabia, non esiste più in natura: qui ne sopravvivono 11 esemplari.
«Qui» sono 58 ettari sulla sponda veronese del lago di Garda, tra Bussolengo e Pastrengo, un lembo del paradiso terrestre che ha per custode Cesare Avesani Zaborra, 54 anni, proprietario e direttore scientifico del Parco Natura viva, uno dei più importanti centri europei di tutela delle specie minacciate. Qualcosa in comune con l'eden ce l'ha davvero, visto che la località Figara, dove si trova, prende il nome da un'immensa piantagione di fichi in cui fino a mezzo secolo fa Adamo ed Eva non avrebbero avuto difficoltà a trovare le foglie per coprire le loro nudità.

Il padre di Avesani Zaborra, Alberto, ingegnere e architetto, ereditò il latifondo negli anni Sessanta. Un giorno il sindaco di Bussolengo gli chiese se potesse accogliere nella tenuta un vecchio ippopotamo scartato dal circo Medrano, che ha la base operativa in paese. Essendo d'animo gentile, il professionista progettò un recinto per l'ingombrante mammifero. Non sapeva che l'ippopotamo è un animale pericolosissimo, quello che ogni anno uccide più persone in Africa. Ci si affezionò. La domenica cominciarono ad arrivare in processione intere famiglie a vedere il vecchio Pippo. Da qui l'idea di prendersi come consulente Angelo Lombardi, «l'amico degli animali» della Rai in bianco e nero, e di aprire nel 1969 il Parco zoo del Garda, con 50 esemplari su 5 ettari, cui nel 1973 si affiancò lo Zoo safari, visitabile comodamente in auto, perché anche la belva più feroce non codifica una Panda, nel senso di Fiat, come un potenziale pericolo, bensì come un sasso che si muove. Il buon Pippo sarebbe morto 40 anni dopo. Era il secondo ippopotamo più longevo d'Europa.

Nel 1985, fresco di laurea in scienze biologiche, il figlio del fondatore prese in mano le redini dell'azienda. Allora si chiamava soltanto Cesare Avesani. La madre Giorgia volle che assumesse il proprio cognome da nubile, Zaborra, che altrimenti si sarebbe estinto con lei. Decisione più che comprensibile per una contessa che era nata nel Castello di San Pelagio, nel Padovano, «il luogo segreto, mistico e ardente dove io respiro», come scrisse Gabriele D'Annunzio il 9 agosto 1918 prima di decollare da qui per il leggendario volo su Vienna (oggi nel maniero c'è il Museo dell'aria gestito da Ricciarda, una delle tre sorelle di Cesare Avesani Zaborra).
La grande intuizione del biologo, presidente dell'Uiza (Unione italiana dei giardini zoologici e acquari) che raggruppa i parchi faunistici con finalità scientifiche, fu di estromettere la società tedesca che gestiva lo zoo paterno e di creare un team di professionisti (biologi, zoologi, veterinari) che l'ha trasformato in un centro di riproduzione per le specie minacciate, completato dall'Extinction park curato dal paleontologo Cristiano Dal Sasso, con gli animali preistorici riprodotti in grandezza naturale. Ovviamente rimane aperto al pubblico. E che pubblico: la sorella del re Abd Allah dell'Arabia Saudita («a fine visita mi ha messo in mano 300 euro di mancia: mi aveva scambiato per una guida»), la principessa del Liechtenstein («vorrebbe che le assumessi la figlia di 8 anni per un'esperienza di lavoro fra gli animali»), i Momix, Mario Balotelli, Loris Capirossi, Magdi Cristiano Allam con moglie e figli, solo per restare agli ultimi ospiti. Coerente con la sua missione, adesso Avesani Zaborra ha registrato da un notaio la Fondazione Arca.

Teme un altro diluvio universale? Guardi che il Padreterno nella Genesi ha promesso di non mandarne più.
«Arca è acronimo di Animal research conservation in action. È una Onlus con cui sogno di coinvolgere i privati in questa struttura, che è di pubblico interesse se non altro perché ospitiamo gli animali esotici confiscati. In Europa vi sono 50 milioni di disabili e 40 milioni di poveri, che non possono certo andare a vedere gli animali in Kenya o nei parchi nazionali. Per loro rappresentiamo l'unico momento di contatto con la natura. Però è un contatto oneroso: questo parco costa 17.000 euro al giorno, e tutti i giorni, perché non è che puoi spegnere la luce e chiudere per quattro mesi l'anno. Mi chiedo come mai Diego Della Valle investa 20 milioni di euro sulle pietre del Colosseo e nulla sulle 57.000 specie animali censite in Italia, il Paese d'Europa a più alta biodiversità. Eppure lo sa qual è l'unica realtà dove ebrei, musulmani e cristiani vanno d'amore e d'accordo? Lo zoo di Gerusalemme. Ero presente quando il suo direttore l'ha spiegato a 300 colleghi di tutto il mondo».

È giusto tenere gli animali in gabbia?
«Stiamo vivendo la sesta estinzione di massa delle specie animali, la prima causata dall'uomo. Usare la cattività per salvare una specie è indispensabile. La stessa Lega antivivisezione ha scritto al direttore del Parco nazionale d'Abruzzo auspicando che venga percorsa questa strada per proteggere gli ultimi 40 esemplari di orso marsicano».

Perciò ha la benedizione della Lav.
«Io direi dell'Onu. Fu la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite svoltasi nel 1992 a Rio de Janeiro a raccomandare l'adozione di programmi per la tutela degli animali ex situ, cioè fuori dal loro habitat naturale. Le foche monache non sono state accolte negli zoo e ora ne resteranno tre o quattro in tutto il Mediterraneo. Il tilacino, o lupo della Tasmania, non è stato allevato e oggi lei può vederlo solo su Youtube in un filmato girato negli anni Quaranta».

I suoi 1.250 inquilini dove li ha presi?
«Gli animali hanno perso il loro valore economico: non si catturano più, non si comprano più. Abbiamo solo contratti di prestito per allevamento nell'ambito dell'Eep, il programma europeo sulle specie minacciate. Esempio: il panda rosso matura sessualmente in 20 mesi. Se lo mantenessimo nei nostri recinti, i genitori s'incrocerebbero con i figli, dando luogo a un indebolimento della specie con geni recessivi pericolosissimi. Ergo, lo trasferiamo altrove. Lavorare in network preserva la qualità genetica».

In cattività la riproduzione è sempre possibile?
«Al 98 per cento. Nell'ultimo anno abbiamo avuto 30 nascite a fronte di 5 decessi. Solo il rinoceronte bianco è refrattario. Poi s'è capito il perché: è un animale sociale, per accoppiarsi ha bisogno di competere con altri maschi. E invece nel nostro recinto trova una femmina e basta. Nel maschio solitario decade persino la qualità degli spermatozoi».

Gli ospiti più pericolosi quali sono?
«I quattro ippopotami. Nel 1986 mi avvicinai allo stagno per fotografare un piccolo appena partorito. La femmina balzò fuori dall'acqua e cominciò a inseguirmi. Nonostante i suoi 20 quintali, corre a una velocità di 45 chilometri orari. Ha desistito solo perché si stava allontanando troppo dal cucciolo. Aggiunga la tigre siberiana, la più imponente: supera i 300 chili di peso».

I più longevi?
«Le nove tartarughe delle Seychelles. Possono arrivare fino a 200 anni di età».

I più irascibili?
«Le iene. Preferisco affrontare un leone che un branco di iene».

I più mansueti?
«I lemuri. C'è una spiegazione: hanno conosciuto l'uomo solo 2.000 anni fa, quando i polinesiani, sospinti dagli alisei, arrivarono sulle coste del Madagascar. Non avevano motivo per temerli: erano pescatori, non cacciatori».

Ma lei crede al fenomeno delle tigri, delle pantere o dei boa che si aggirerebbero liberi per l'Italia?
«Credo che dopo l'entrata in vigore della Cites, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, molte persone si siano sbarazzate di animali esotici mai denunciati. La legge del 1980 è severissima in materia: se lei non ha mai dichiarato il possesso d'una cintura di coccodrillo o d'un pettine di tartaruga, è passibile di denuncia penale. Di recente il Corpo forestale dello Stato mi ha telefonato per inviarmi due scimpanzé che un signore di Caserta deteneva illegalmente nella propria abitazione: i figli dell'uomo si sono accorti della loro esistenza soltanto dopo che il padre era deceduto».

Quante ore passa con gli animali?
«Quattro o cinque al giorno. Meno di quante vorrei, ahimè».

Riesce a parlare con loro?
«I macachi comunicano con le espressioni facciali: se inarco un sopracciglio, significa stammi lontano. I lupi Wolf e Bella accorrevano quando li chiamavo per nome, perché erano stati allevati a mano. Adesso che hanno una cucciolata di sette maschi, hanno perso il contatto con l'uomo e sono tornati selvatici. Ma io sono felice che sia andata così».

Che cosa ha imparato dagli animali?
«Tantissimo. Per esempio che l'espressione “salire sul carro del vincitore” è peculiare delle scimmie come dell'uomo, insieme con il furto, l'omicidio, l'infanticidio e l'abbandono di minore».

Come fanno le scimmie a salire sul carro del vincitore?
«Il maschio adulto combatte con un altro maschio per la supremazia sul gruppo. Il perdente, che fino al giorno prima poteva contare su decine di alleati, viene completamente isolato dal branco. Mi tocca mandarlo in altri parchi d'Europa, altrimenti morirebbe. Del resto in natura i litigi fra maschi hanno una fortissima base biologica: gli adulti baruffano con i giovani per espellerli dal nucleo d'origine e costringerli a costituirsi una nuova famiglia. Diversamente, i figli finirebbero per accoppiarsi con le madri e le sorelle, facendo decadere geneticamente la specie».

Qual è l'animale più intelligente del Parco Natura viva?
«La scimpanzé Judy. Mio padre la lasciava libera in ufficio o per casa. Io mantengo un certo distacco. Ho visto colleghi andar via di testa per eccessivo coinvolgimento. Preferisco la selvaticità all'addomesticamento. Penso sempre che ognuno dei miei animali un giorno tornerà libero in natura. È già avvenuto per due bisonti europei, che ho riportato a giugno in Slovacchia, dov'erano estinti da 450 anni. Li abbiamo liberati in una zona popolata da lupi e orsi, coperta per cinque mesi su 12 da due metri di neve. Ero angosciato: come si sarebbero difesi e che cosa avrebbero mangiato? Con mia grande sorpresa, ho scoperto che a dicembre la memoria del Dna li faceva scavare sotto la coltre bianca alla ricerca di germogli. E così Pasqualina è rimasta incinta e ha partorito il primo bisonte dopo mezzo millennio, una femmina che è stata chiamata Valentina, in onore di San Valentino, patrono di Bussolengo».

In effetti un piccolo miracolo.
«Ripetutosi per i sei avvoltoi grifoni, estinti in Italia con la fine della pastorizia, che ho liberato in Friuli. Uno di essi è arrivato in Africa, nel Ciad, ce l'ha segnalato la radio Gps che reca sul dorso. Qui il mio orgoglio di veneto ha avuto un sussulto. I veneziani che trafficavano con l'Oriente erano abituati a vedere gli avvoltoi grifoni accanto ai grossi felini. Un tempo non si sapeva che si tratta di una specie necrofora. Sono di un grifone le ali del Leone di San Marco, simbolo della Serenissima».

Esiste l'altruismo fra gli animali?
«Certo, soprattutto nelle specie gregarie, per le quali la vita comunitaria rappresenta un fattore protettivo. La zebra non è mimetica, anzi nella savana spicca moltissimo, tanto che il piccolo riconosce la madre da questo codice a barre. Un branco di zebre molto unito crea nel leone una tale confusione visiva da scoraggiare l'attacco. Idem i fenicotteri rosa. Questo colore così acceso è un semaforo per gli esemplari dispersi in volo, che possono così riaggregarsi. E quando una femmina muore, i piccoli vengono allevati dalle altre madri. Idem le aragoste. All'arrivo di un predatore, l'ultima della fila lo affronta e combatte, ben sapendo che morirà, pur di avvantaggiare nella fuga il resto del gruppo».
(670. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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