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I giudici possono salvarli (ma non lo fanno)

Basterebbe applicare la legge per evitare l'espatrio. E la lettera di garanzia? È pubblica. Ma non si trova

I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

I marò dovrebbero restare in Italia se la Procura di Roma, dove sono iscritti nel registro degli indagati per duplice omicidio, decidesse una seppur minima misura cautelare come l'obbligo di firma. I magistrati sono sempre molto tempestivi ad aprire fascicoli ed interrogare, ma questa volta sembra che non si siano fatti vivi con Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. E probabilmente non intendono farlo, altrimenti i marò potrebbero essere costretti a restare in patria nonostante l'impegno del governo e la loro parola d'onore.

Nei giorni scorsi il capogruppo del Pdl in Commissione Esteri della Camera, Enrico Pianetta, aveva lanciato il sasso nello stagno: «Ci sarà pure un giudice a Roma per i due marò. Hanno il diritto di essere processati in Italia. Non devono tornare in India» aveva dichiarato il parlamentare. Pianetta ha addirittura chiamato in causa Attilio Regolo, il console romano che venne giustiziato dai cartaginesi dopo essersi riconsegnato ai suoi carcerieri: «É un appello che rivolgo con urgenza a chi spetta questo inalienabile dovere - sottolinea Pianetta - L' Italia non viola nessun accordo se li sottopone immediatamente a giudizio».

L'autorità giudiziaria di Roma «ha facoltà» di agire nei confronti dei marò, in quanto indagati. Il procuratore non è obbligato a sottoporli ad interrogatorio, nè adottare misure restrittive, ma in un caso di duplice omicidio c'è ampio spazio per agire. Secondo gli esperti legali basterebbe un banale «obbligo di firma» presso il commissariato di zona per «impedire il rientro dei marò in India», al di là della loro volontà. Un'altra misura cautelare potrebbe comportare il ritiro del passaporto.

In questo caso il mancato rientro dei marò, che al momento sono pronti a partire il 3 gennaio per l'India, non sarebbe un tradimento della parola data dal governo italiano perchè la decisione dell'autorità giudiziaria è autonoma. Non a caso nell'ordinanza indiana per la «licenza» natalizia si legge che il procuratore dello stato del Kerala sapendo dell'apertura di un'inchiesta in Italia temeva che una volta giunti in patria i due marò «potrebbero venir arrestati».
Secondo gli addetti ai lavori «la Procura di Roma dovrebbe far valere la giurisdizione italiana richiamando la sentenza della I sezione penale della cassazione n. 31171 del 24/7/2008 nel caso dell'omicidio Calipari». Il numero due dei servizi ucciso a Baghdad per errore dal militare americano Mario Lozano. La Cassazione stabilì «la giurisdizione esclusiva dello stato di invio del personale militare secondo la cosiddetta legge della bandiera o dello zaino». Così Lozano non venne processato in Italia.

L'altro aspetto da non sottovalutare è che in India vige la pena di morte. Non estradiamo neppure gli assassini prezzolati nei Paesi dove c'è il boia. Teoricamente l'accusa di omicidio volontario contestata ai marò nello stato del Kerala prevede la pena capitale. Riconsegnarli è un gesto d'onore, ma forse cozza con la legge italiana ed una direttiva comunitaria che vieta l'estradizione verso i paesi con la pena capitale.

E nell'intricato caso dei marò il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, si rifiuta di rendere pubblica la «lettera di garanzia» che ha scritto al suo omologo indiano Salman Khurshid per la licenza natalizia. Su facebook si è irritato perchè il Giornale aveva scritto che era secretata. Secondo Terzi non è neppure riservata e si trova «agli atti del nostro Ministero, regolarmente protocollata, e non contiene alcunchè se non formule diplomatiche di saluto assolutamente di rito». A questo punto abbiamo invitato la Farnesina a renderla pubblica non essendoci vincoli di riservatezza. Il portavoce del ministro, Giuseppe Manzo, ha risposto che la nostra richiesta «non può essere accolta».

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