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Indietro, miei Prodi

M5S suicida per Prodi? Difficile ma possibile

Indietro, miei Prodi

Questo è il terzo articolo che scriviamo per dire che Romano Prodi brucia dal desiderio di diventare presidente della Repubblica. Egli però non è il tipo da gridarlo ai quattro venti e finge di essere disinteressato alla pratica. C'è chi briga in sua vece: sono gli amici di sempre, quelli che gli hanno dato qualcosa in passato e che da lui hanno ricevuto molto: posti, favori, agevolazioni, spinte e spintarelle. Il Professore ha i requisiti per salire al Colle in questo periodo di sbandamento politico, sociale ed economico: è cattolico; è di sinistra ma non è mai stato comunista e può essere spacciato dai compagni come equidistante dai due schieramenti, destra e sinistra; è talmente europeista da aver costretto l'Italia a entrare col cappello in mano nell'euro.

Insomma, è il personaggio giusto per continuare nella politica sbagliata di Mario Monti e dei vari sudditi di Angela Merkel. Inoltre ha battuto due volte alle elezioni nazionali Silvio Berlusconi; merito, questo, che agli occhi degli iscritti al Pd vale una medaglia d'oro, che dico, un premio Nobel. Ha solo un difetto: è sgradito - peggio, è inviso - al centrodestra, che non lo voterà mai, neanche in caso di strage. Un difetto grave. Sul suo nome non convergeranno i consensi unanimi del Parlamento, ciò che invece piacerebbe assai a Pier Luigi Bersani perché gli consentirebbe di aprire un dialogo governativo con i berluscones. Il segretario e candidato premier del Pd, infatti, non ha accantonato la pretesa di governare con i voti degli altri, non avendone a sufficienza per agire in proprio allo scopo di entrare a Palazzo Chigi.

In un primo momento, Bersani sperava di ottenere quelli del M5S, ma Beppe Grillo ha respinto ogni avances. Poi ha ripiegato su quelli del Cavaliere, precisando tuttavia di non volere tra i piedi il Cavaliere. Aspirazione troppo ambiziosa: come si fa a puntare sull'appoggio del Pdl rifiutando la collaborazione del fondatore e leader indiscusso? Impresa ardua. Cosicché Pier Luigi ha cambiato strategia. Ha incontrato lo stesso Berlusconi e gli ha proposto un accordo per eleggere il capo dello Stato. Ottima idea. Ma c'è un ma. La rosa dei nomi tra cui scegliere il papabile chi la prepara? Io, ha risposto il vincitore (si fa per dire) delle elezioni, suscitando le perplessità dell'interlocutore. Il quale ha suggerito: scegliamolo insieme, tu e io. Dopo un'ora di trattative, i due si sono lasciati con un arrivederci.

Intanto Bersani non ha smesso di ravanare nel mondo politico, arrivando alla seguente conclusione: dato che i grillini si sono sbilanciati in favore di Prodi presidente, significa che sono pronti a votarlo insieme con noi per spedirlo al Quirinale. Ergo, lo possiamo spingere senza l'aiuto del centrodestra. Non solo. Ma se anche i centristi montiani si convincono che il Professore è l'uomo adatto, il gioco è fatto: avremmo facoltà di dire urbi et orbi che Prodi è stato scelto da tre quarti del Parlamento, dunque è il presidente degli italiani.

Bersani non vede l'ora di realizzare il suo piano e di rifilare uno smacco al Cavaliere. Non si cura di altro. Anche perché, in cambio del favore resogli, chiederebbe a Romano di conferirgli un incarico pieno per formare il nuovo governo. Il quale Romano non oserebbe negarglielo. Tanto, chissenefrega. Se Pier Luigi ce la fa, strappando l'appoggio dei grillini, bene. Se non ce la fa, amen. Prodi per sette anni sarebbe comunque blindato lassù, sul Colle.

Il leader di Bettole non demorde: è intimamente persuaso, col patrocinio di Prodi (amico di Grillo), di essere attrezzato per formare una maggioranza e, quindi, un esecutivo duraturo. Non gli passa per la testa che il guru pentastellato, qualora in un momento di debolezza cedesse alle pressioni del Pd, farebbe una figura di palta con il proprio elettorato. Bersani è talmente preso dal desiderio di entrare a Palazzo Chigi da non pensare che i grillini, per quanto affettivamente vicini a Prodi, siano abbastanza scafati da non sacrificare la propria verginità alle ambizioni del vertice pd.

Ma tutto può succedere. Perfino che il M5S opti per il suicidio. Improbabile, non escluso. In attesa di verificare cosa accadrà fra due giorni, quando si tratterà di eleggere il successore di Napolitano, nell'entourage di Prodi c'è fermento: sono in ballo molte poltrone da spartire. Nelle banche e nei giornali, negli enti pubblici e nel sottobosco governativo. Il mio amico Gianni Riotta, bravo giornalista, è sulle spine. Fosse esatto che Mario Calabresi, il famoso orfano, passerebbe dal timone della Stampa a quello del Corriere della Sera, per Riotta sarebbe automatico sostituirlo alla guida del quotidiano della famiglia Agnelli, Giovanni Bazoli permettendo.

A proposito del banchiere, sponsor potente del Professore, si dice che diventerebbe un personaggio stellare quale fu Enrico Cuccia, per decenni dominus del credito patrio. Ciascuno ha le proprie aspirazioni. E Ferruccio de Bortoli ha quella di non andarsene da via Solferino, postazione che giustamente difende con i denti. Ci domandiamo con quale faccia i vincenti prodiani potrebbero licenziarlo, visto che la sua gestione del giornalone della borghesia lombarda è attiva, e rimpiazzarlo con Calabresi che, invece, alla Stampa non sta facendo faville. Ma queste sono questioni secondarie, più attinenti al gossip che alla politica. Le citiamo solo perché sono utili per comprendere il clima che si sta creando attorno alle manovre quirinalizie; e denotano quanto i protagonisti della battaglia tengano maggiormente alle proprie sorti che non a quelle del Paese, a conferma che in Italia cambiano gli sfruttatori ma gli sfruttati sono sempre gli stessi: i cittadini. Che aspettano di uscire dalla crisi e, viceversa, vi si immergono sempre di più. Con una sola prospettiva: prolungare la loro agonia, stretti come sono tra l'austerity europea e le inefficienze nazionali, minacciati dal martello tedesco e spiaccicati sull'incudine fiscale.

Se quanto abbiamo scritto è vero, e saremmo lieti di avere sbagliato tutto, non ci resta che confidare in un guizzo difensivo di Berlusconi. Qui non si tratta di costruire un futuro, ma di demolire il presente. Ultima osservazione. Se proprio è necessario avere un cattolico al Quirinale, pur di non mandarci Prodi ripescheremmo Rosi Bindi, sul conto della quale - simpatia a parte - c'è poco da discutere. È una persona perbene, tosta e coerente. Ciascuno ha la Merkel che si merita.

di Vittorio Feltri

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