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Quelle pressioni sull’India che Mario Monti ha evitato

Italia debole per scelta: c’erano armi diplomatiche efficaci, come lo stop all’ingresso nel Consiglio di Sicurezza

I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

L'Italia ha delle armi di pressione sull'India, mai usate con forza, per cercare di far tornare a casa i marò. Non solo: i soldati francesi ammazzano due civili indiani e ne feriscono gravemente altri sei, nel Centrafrica, per errore. Il presidente Hollande chiede scusa al premier Singh e il problema si risolve. Due pesi e due misure rispetto al caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Quando si è dimesso in Parlamento il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha accennato ad una precisa arma di pressione diplomatica nei confronti dell'India. Il governo di Delhi aspira ad entrare nel Gruppo dei fornitori nucleari (Nsg), un'organizzazione internazionale che controlla il trasferimento di materiale per le bombe atomiche. L'Nsg è nato nel 1974 in risposta al primo test nucleare indiano. L'Italia fa parte del gruppo e può ostacolare l'ingresso dell'India fino a quando non ci mollano i marò.

Delhi punta anche all'ingresso a pieno titolo, come membro permanente, nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. Dal 2004 Brasile, India, Giappone e Germania hanno deciso di appoggiarsi a vicenda per entrare nel Consiglio in maniera definitiva. Il presidente americano Obama ha annunciato che «gli Usa lavorano ad una riforma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu in cui si includa l'India come membro permanente». L'Italia appoggia la proposta di garantire un seggio permanente all'Unione Europea, ma non siamo riusciti a mobilitare gli alleati più importanti contro l'ingresso dell'India ai vertici dell'Onu, come arma di pressione nel caso dei fucilieri.

Nel frattempo, alimentata dai grillini in Parlamento, continua ad aleggiare la teoria dello scambio fra marò e commesse di Finmeccanica. L'ultima «pista» è quella di 100 siluri che vengono dati per venduti alla Difesa indiana, ma in realtà il contratto non è ancora chiuso. Il rientro a Delhi dei marò non ha a che fare con i 300 milioni di dollari di appalto. Lo dimostra il fatto che il ministro della Difesa indiano aveva annunciato la finalizzazione dell'accordo poche ore prima che a Roma decidessero il non rientro dei marò. E fonti del suo ministero l'hanno ribadito il 20 marzo quando non era ancora stato annunciato il voltafaccia. In pratica non esiste un «do ut des», anche se Finmeccanica poteva essere un potenziale obiettivo di rappresaglie economiche.

I marò sono accusati di aver ucciso due pescatori indiani, ma la loro responsabilità è ancora tutta da provare. A differenza dei soldati francesi che a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, hanno ammazzato due civili indiani il 25 marzo. I francesi presidiavano l'aeroporto nel caos del crollo del regime. Gli indiani, su tre macchine, si stavano dirigendo verso lo scalo. Nonostante i colpi sparati in aria come avvertimento la piccola colonna non si è fermata. Una scena simile a quella del peschereccio scambiato per imbarcazione pirata dai nostri marò il 15 febbraio 2012. I soldati francesi hanno aperto il fuoco compiendo una strage. Parigi ha ammesso l'errore promettendo un'inchiesta francese. Il presidente Hollande ha inviato le scuse al governo di Delhi. Il premier Singh ha chiesto il rispetto dell'incolumità dei 100 indiani presenti a Bangui.

Nessuno ha arrestato o chiesto di processare i militari di Parigi, come è capitato ai nostri marò.

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