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L’assoluzione di Fassino dopo 15 anni dimostra che quel processo era inutile

Nel caso del Salone del Libro di Torino una gogna infinita anche per tutti gli altri imputati

L’assoluzione di Fassino dopo 15 anni dimostra che quel processo era inutile

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Non c’è niente che funziona in un sistema che impiega quasi 15 anni per chiudersi con 5 condanne e 12 tra prescrizioni e assoluzioni: un procedimento che è mediaticamente esistito perché c’era il nome di Piero Fassino (Pd) che ha rifatto capolino sui giornali perché rinfacciare politicamente che c’era il nome di Piero Fassino, sempre sui giornali ha ospitato talvolta le tesi difensive perché «c’era il nome di Piero Fassino», e ora, in un battito di ciglia, si dà notizia della sentenza solo perché in essa c’è il nome di Piero Fassino: altrimenti chi ne se frega che nel merito sono stati assolti certi Roberto Moisio e Andrea Lanciani, che sia stato assolto per non aver commesso il fatto anche tal Antonio Bruzzone, che siano stati pure assolti per intervenuta prescrizione tali Nicola Gallino, Gianluigi Strambi, Christian Esposito, Alessandro Dotta e Laura Scarzello, mentre tal Rolando Picchioni è uscito di scena (dal processo) perché è morto.
Non è solo per i tempi insopportabili (quindici anni per un primo grado) ma è perché un’assoluzione non dimostra che il sistema funziona, ma dimostra che nella stragrande maggioranza dei casi ci sono dei processi che non dovevano essere fatti, i soldi pubblici non spesi, i soldi privati – per gli avvocati – neanche, e le vite non dovevano essere ostacolate e sputtanate da uno Stato e dai suoi funzionari.
La funzione della giustizia non è dimostrare un’innocenza: è, in caso di innocenza, non procedere, perché il codice di procedura è dotato di tutte le escogitazioni per non procedere inutilmente e dunque fermarsi prima, praticamente subito. Se il processo diviene la sede delle garanzie di un cittadino, si chiami Rossi o Fassino, questo significa vivere in un Paese dove si vive da presunti colpevoli, e bersagliati a vita – sedi professione si è politici – dai media avversari.
In questo caso il processo ruotava attorno alle presunte turbative d’asta legate all’organizzazione del Salone del Libro al Lingotto di Torino e ai falsi in bilancio relativi alla rendicontazione della Fondazione del Libro. La pubblica accusa (che quando perde, nei dibattimenti anglosassoni, ne esce sputtanata, mentre da noi, invece e spesso, neppure la nominano) aveva ipotizzato ventiquattro capi d’imputazione, dei quali, alla fine, ne sono rimasti in piedi tre, connessi a un falso in bilancio del 2015. Quale danno, quale terribile danno per la collettività: sufficiente a giustificare un anno di pena per Giovanna Milella (che nel 2016 approvò appunto il bilancio dopo aver sostituito Rolando Picchioni alla guida della Fondazione) e un altro anno anche a Paolo Ferrero: per gli altri reati Milella e Ferrero sono stati assolti. Basta questo per giustificare un processo? Ora la pubblica accusa che farà, formulerà pure Appello? In effetti i nomi più altisonanti (si fa per dire) sono stati assolti «perché il fatto non costituisce reato»: parliamo di Piero Fassino «in quanto ex sindaco di Torino» e dell’ex assessore regionale alla Cultura Antonella Parigi.
Quando un processo inutile finisce in un’assoluzione scontata non c’è da essere soddisfatti: ma è proprio questo, comprensibilmente, che si è detto Fassino: «Sono molto soddisfatto, avevo ribadito l'assoluta correttezza del mio comportamento e la sentenza riconosce in modo netto e inequivocabile la mia estraneità a qualsiasi illecito». L’ha messo per iscritto: «È una assoluzione tanto più evidente perché i magistrati avrebbero potuto semplicemente prendere atto della prescrizione. Invece hanno voluto esprimere un giudizio di merito che rende giustizia alla trasparenza e correttezza del mio operato». Quindi è una giustizia da ringraziare. Soddisfatto (chiaramente) anche l’avvocato di Fassino, Luigi Chiappero: «Quando in presenza di prescrizione c'è un'assoluzione nel merito, è un'assoluzione a tutto tondo».

Speriamo che presto processino anche noi, altrimenti non potranno assolverci.

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