Politica

Lavoro, Monti predica bene ma al governo razzola male

Ieri il premier Mario Monti era particolarmente in forma. E ha sostenuto due tesi decisamente condivisibili. Una sulla dannosità dello Statuto dei lavoratori, l'altra, più generale, sulla sostanza della buona politica.
Vediamole. Riferendosi ad alcune norme dello Statuto dei lavoratori, Monti ha detto: «Certe disposizioni intese a tutelare le parti deboli nei rapporti economici (...)

(...) hanno finito, impattando sul gioco del mercato, per danneggiare le stesse parti deboli che intendevano favorire». Non si tratta di una giravolta ideologica. La medesima tesi la sostiene da metà degli anni Ottanta. Ieri non ha fatto altro che ribadirla.
Il premier ha continuato aggiungendo: «Alcuni dei danni maggiori arrecati al Paese sono derivati dalla speranza di fare bene anche dal punto di vista etico, civile e sociale, ma con decisioni politiche che spesso non erano caratterizzate da pragmatismo e valutazione degli effetti». Parole sante. E, se permettete, decisamente liberali.
Ma le frasi di ieri ci insegnano come governare sia ahimè molto diverso rispetto al teorizzare. E come Monti in questi mesi abbia spesso operato in contraddizione con i suoi principi. Prendiamo proprio il caso del lavoro. La riforma realizzata dalla Fornero (nel tondo) non rappresenta un miglioramento del mercato del lavoro, non ne riduce le sue distorsioni legislative, semmai le amplia. Il barocco sistema di intervento della magistratura nell'applicazione del nuovo articolo 18, alimenta l'incertezza burocratica amministrativa per le imprese. L'irrigidimento delle forme di flessibilità contrattuale, l'aumento del costo del lavoro nel caso dei contratti a tempo determinato, la cancellazione, di fatto, di alcuni istituti introdotti dalla legge Biagi, fanno fare un passo indietro a quel coacervo di norme che oggi regolano i rapporti di lavoro tra privati. La riforma Monti-Fornero sul lavoro ha più il sapore di una reazione che di un progresso. D'altronde il ministro del Lavoro in conferenza stampa, con accanto il premier, più o meno disse: «Il contratto a cui puntiamo come modello è quello subordinato e a tempo indeterminato». E si è visto. Ovviamente sempre con la sacrosanta pretesa di difendere «i più deboli» si danneggiano proprio loro. In questo campo Monti deve stare attento. Solo poche settimane fa un ministro del suo governo si era inventato la tassa etica sulle bibite. Si dirà: non è passata proprio perché Monti l'ha osteggiata. Può essere. E ce ne compiacciamo. Ma come definire i balzelli sul lusso, dagli yacht alle auto, che il premier ha firmato? Quelli sono legge. E il loro sapore etico e di giustizia sociale ne sono la unica giustificazione. Proprio il «pragmatismo e la valutazione degli effetti delle decisioni politiche» invocati ieri dal Professore, sono stati ignorati dal governo: queste imposte hanno infatti cagionato una riduzione del gettito diretto e di quello derivante dall'indotto. Una follia, seguendo il giudizio di Monti, poiché sono da considerarsi sbagliate se viste sotto il profilo etico e assurde se valutate per i loro effetti pratici.
Monti ha un dna liberale e talvolta esso emerge. Ma l'execution, come direbbero i suoi allievi, delle sue teorie è pessima. Oppure, come direbbero più semplicemente dalle nostre parti: predica bene, ma razzola male.
Le numerose formazioni di ispirazione liberale che si stanno organizzando in queste ore dovrebbero riflettere sul caso Monti. Dovrebbero farci capire per quale motivo e per quale magica combinazione di fattori a loro sarebbe possibile ciò che non sta riuscendo al Professore o che non è riuscito al Berlusconi del '94. Nonostante le loro buone intenzioni. Di cui, come tutti i liberali sanno, è lastricato l'ingresso dell'inferno.

segue a pagina 7

Bozzo a pagina 7

di Nicola Porro

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