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Letta resta con 6 voti e al Colle va bene

Il Colle ordina: nessuna verifica, basta la fiducia sulla Stabilità. Ma i numeri sono precari

Letta resta con 6 voti e al Colle va bene

Roma - E adesso, che succede? Nulla. «La verifica della sussistenza di una maggioranza - si legge in una nota del Colle - sarà soddisfatta in brevissimo tempo, durante la seduta in corso al Senato con la discussione e la votazione sulla già posta questione di fiducia». Paghi uno, prendi due: il sì alla legge si Stabilità vale quindi anche come mozione di conferma per l'attuale esecutivo. Secondo Enrico Letta, in fondo, niente è cambiato. «Va tutto bene», dice infatti il premier prima di essere ricevuto in serata dal capo dello Stato per fare il punto della situazione. In realtà è cambiato quasi tutto. Forza Italia ha sbattuto la porta, la stagione delle larghe intese è stata archiviata, la coalizione che sostiene il governo non è più la stessa. Letta ora a Palazzo Madama dispone, sulla carta, di almeno 167 voti, solo 6 più della maggioranza assoluta (se votasse anche il presidente Grasso salirebbero a 168). Tredici, se al conto si aggiungono i senatori a vita. Ma Claudio Abbado e Carlo Azeglio Ciampi hanno qualche acciacco e gli altri tre, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Elena Cattaneo non sono certo molto assidui. E Pietro Grasso per prassi non vota. Senza parlare delle commissioni in mano rimaste a Fi. Insomma, come si fa a governare in queste condizioni? E poi, come è possibile notificare il cambio di scenario politico senza un atto procedurale? Servirebbe, sostengono dal centrodestra, un passaggio formale. Se non proprio una crisi, almeno delle consultazioni sul Colle. Se non un rimpasto, un altro voto di fiducia. Ma Palazzo Chigi resiste. Se il passaggio si allunga, se l'interregno si dilata, il rischio è che venga giù tutto. Troppe le varianti impazzite: da Renzi che vuole un'accelerata a Monti che spera in un rimpasto, dal centrodestra che punta alle elezioni al Pd che vuole sottolineare che l'alleanza indigesta con Berlusconi è finita. Perciò già dalla mattina il governo si blinda mettendo la fiducia sulla Finanziaria. «Il modo più corretto e trasparente - sostiene Dario Franceschini - per verificare l'esistenza del rapporto fiduciario tra esecutivo e Parlamento». Votare in un solo giorno su conti pubblici e sui nuovi numeri del governo è pure il sistema più indolore per voltare pagina. Forza Italia ovviamente non ci sta. Subito dopo l'uscita dalla maggioranza, i capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta si mettono in contatto con il presidente della Repubblica e lo informano ufficialmente della nuova situazione. «La natura del governo è cambiata - dice Brunetta - le larghe intese sono finite, da oggi c'è un esecutivo di centrosinistra». Sandro Bondi chiede al capo dello Stato di «prendere atto e fare un nuovo governo». Maurizio Bianconi vorrebbe addirittura le dimissioni di Giorgio Napolitano. Re Giorgio invece convoca Letta e stabilisce il percorso istituzionale da seguire. Dunque, nessun passaggio parlamentare, per suggellare la trasformazione dalle larghe intese alle piccole intese basterà attenersi al copione. L'incontro dura un'oretta. I due presidenti «hanno preso atto della decisione di Forza Italia di esprimere voto contrario sulla legge di Stabilità su cui il governo ha posto la questione di fiducia», ma «la necessità che ne consegue di verificare la sussistenza di una maggioranza sarà soddisfatta in brevissimo tempo». Subito, nella notte. Oggi è un altro giorno. Napolitano è preoccupato: il nuovo-vecchio Letta riprende la navigazione con 71 voti in meno al Senato e con la prospettiva di dover presto rinunciare pure al comitato per le riforme costituzionali.

Ma, come dice Altero Matteoli, «i governi deboli sono quelli destinati a resistere a lungo».

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