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L'ex console Usa mette nei guai Di Pietro

Peter Semler: "Quand'era pm mi annunciò le indagini su Craxi e la Dc". Lui ribatte: "Mai violato il segreto istruttorio"

L'ex console Usa mette nei guai Di Pietro

Un indovino e anche di più. Sorpresa: ancor prima che l'inchiesta iniziasse, addirittura alla fine del 1991, il console americano a Milano sapeva che Mario Chiesa sarebbe finito in manette e che Mani pulite avrebbe travolto la Dc e il Psi. E questo non perché avesse la sfera di cristallo ma perché un certo Antonio Di Pietro era di casa nel suo ufficio. La seconda puntata pubblicata ieri dal quotidiano la Stampa sui rapporti fra il Pool e l'establishment americano crea scompiglio, come già era accaduto con il precedente articolo. Maurizio Molinari aveva avuto un primo colloquio con Reginald Bartholomew, ambasciatore degli Usa a Roma dal '93 al '97 e Bartholomew gli aveva detto chiaro e tondo di aver spezzato i legami fra Di Pietro e soci e i diplomatici americani. In particolare Bartholomew, le cui rivelazioni sono uscite postume a pochi giorni dalla sua scomparsa, aveva puntato il dito contro il consolato generale di Milano, a suo parere troppo accondiscendente con Mani pulite e con i suoi metodi spicci.

Puntuale, arriva ora il racconto dell'ex console Peter Semler. E Semler in qualche modo conferma le parole di Bartholomew che è morto domenica scorsa all'età di 76 anni. Semler spiega che in effetti con Di Pietro ebbe una frequentazione costante e intensa. Quanto basta per accendere la miccia dei retropensieri che da sempre accompagnano Mani pulite.
«Incontrai Di Pietro - racconta Semler - prima dell'inizio delle indagini, fu lui che mi cercò...Ci vedemmo alla fine del 1991, credo in novembre, mi preannunciò l'arresto di Chiesa e mi disse che le indagini avrebbero raggiunto Bettino Craxi e la Dc». Non è una rivelazione da poco: ufficialmente Mani pulite esplode il 17 febbraio 1992 quando Mario Chiesa viene arrestato «in diretta», subito dopo aver intascato una tangente di sette milioni. Come è possibile che Semler avesse previsto tutto questo già a novembre, addirittura tre o quattro mesi prima? E la preveggenza si fa addirittura sbalorditiva se si pensa che il coinvolgimento della Dc e del Psi arrivò solo mesi dopo. «Di Pietro - rincara la dose Semler - aveva ben chiaro dove le indagini avrebbero portato». Strepitoso.

Certo, il console era uno che non stava con le mani in mano. Incontrava tutti: Di Pietro, altri giudici, il cardinale, i leghisti, un sacco di gente. Semler aveva drizzato le antenne e sfruttava - dice lui - l'abilità di un funzionario informatissimo, Giuseppe Borgioli, «un'enciclopedia vivente». Soprattutto Semler si era convinto che l'Italia sarebbe cambiata. Tutto il contrario di quel che pensava l'ambasciatore Peter Secchia, il predecessore di Bartholomew, che invece riteneva l'Italia un Paese immobile. Dove non succedeva mai niente e dove le stesse facce avrebbero governato per l'eternità. Resta però il fatto che l'intesa con Di Pietro arrivò a livelli impensabili. «Di Pietro - racconta Semler - con me era sempre aperto, ogni volta che chiedevo di vederlo lui accettava, veniva anche al consolato».

Il leader dell'Italia dei valori, intervistato sempre dalla Stampa, conferma la frequentazione ma sposta in avanti le lancette: «Semler confonde conversazioni avute in tempi e con persone diverse... Ma nel novembre 1991 non potevo anticipargli ciò che non sapevo». Insomma, l'ex pm prova ad allontanare da sè le coincidenze più perfide e suggestive, quelle che potrebbero far riaprire l'armadio dei sospetti e riportare sotto i riflettori il lato oscuro di una biografia sempre messa in discussione e sempre riaffermata con l'orgoglio di chi si è fatto da sé, è stato operaio, poliziotto, tante altre cose ma mai deragliando dai binari dalla legalità. Di Pietro ridimensiona, minimizza, assume un low profile: «Ma che Dc e Psi e anche il Pci fossero partiti corrotti, in Italia, lo sapevano tutti. In fondo Mani pulite fu la scoperta dell'acqua calda». Poi, davanti alle telecamere di Rai News 24, difende in blocco quella stagione: «Non fummo pedine degli Stati Uniti per far fuori Craxi e Andreotti».

Polemiche, vent'anni dopo. Sulle quali Di Pietro non è disposto a soprassedere tanto che alla Stampa spiega che se Batholomew fosse ancora vivo lo trascinerebbe in tribunale. All'opposto la valutazione di Giorgio Napolitano che ha scritto ieri all'ambasciatore David H. Thorne: «Ho appreso con profondo rammarico la triste notizia della scomparsa di Reginald Bartholomew. Ho avuto modo di conoscerlo bene quando ha servito gli Stati Uniti d'America come Ambasciatore a Roma, dando prova di alta professionalità, intelligenza politica, attenzione e simpatia per l'Italia. In questo spirito, esprimo sentimenti di vicinanza e solidarietà a lei e all'intera diplomazia degli Stati Uniti».

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