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"L'Idv si è sciolto". La fine del leader Di Pietro

Dagli albori alla fine: cronaca di un partito affondato dal suo leader

"L'Idv si è sciolto". La fine del leader Di Pietro

C'est fini. L'epitaffio dell'Italia dei Valori, scritto da Silvana Mura, braccio destro di Antonio Di Pietro, certifica più di ogni altra cosa la morte politica del movimento dell'ex pm: "L’Idv si è sciolto per dare vita a un nuovo soggetto politico, ispirato all’alleanza liberaldemocratica europea, che nascerà dopo Pasqua".

Dal giustizialismo alla liberaldemocrazia. Dal personalismo alla collegialità. La forma del nuovo soggetto, così come i vertici dello stesso, verranno scelti attraverso primarie costituenti aperte. Insomma, l'araba fenice che ne verrà fuori non contemplerà alcun tratto delle ceneri precedenti.

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel lontano 21 marzo del 1998 quando a Sansepolcro duecentocinquanta persone tra parlamentari e cittadini si impegnarono a dar vita e corpo al progetto politico chiamato appunto Italia dei Valori.

Dopo l'infausta fusione col movimento de "l Democratici dell'Asinello", conclusasi nel 2000 quando, per acute divergenze sulla scelta di Giuliano Amato come premier, l'Idv votò contro la fiducia del suo governo, Di Pietro & Co. provano a risorgere. La figura dell'ex pm di Mani Pulite diventa preponderante. Nasce Lista Di Pietro. Il cognome rimarrà presente nel simbolo fino agli ultimi momenti di vita. A testimonianza del personalismo del movimento dipietrista. L'impronta legalitaria e giustizialista è forte. E si nota subito. Sul campo. I risultati però sono oscillanti. Alle elezioni politiche del 2001, l'Idv non supera la soglia di sbarramento e rimane fuori dal Parlamento.

Ma l'operazione di radicamento sul territorio continua, cavalcando l'onda dell'antiberlusconismo. Il movimento di Di Pietro inizia a esternare il suo vigoroso contrasto al malgoverno della Casa delle Libertà. Un anno dopo, pena il rischio di non entrare ancora una volta in Transatlantico, l'Idv è costretta a entrare ufficialmente nella coalizione, pur rivendicando la propria identità.

Da lì nasce Orizzonti nuovi, il giornale dell'Italia dei Valori; il movimento di protesta prova a diventare di proposta e si trasforma in un partito federale. Almeno di facciata, perché l'impronta padronale e leaderistica è ben visibile. Inizia la stagione dei referendum: il primo contro il Lodo Schifani. Poi ci saranno le battaglie contro il varo dell’indulto, l'alleanza proficua - almeno in termini di eletti in Parlamento - con il Pd, e poi la consacrazione, con la manifestazione di piazza Navona, del ruolo dell’Italia dei Valori di unica opposizione al governo Berlusconi.

Poi ancora verrà il tempo dei referendum per l'abrogazione del Lodo Alfano, di quelli sull'acqua e sul nucleare, della foto (presto sbiadita) di Vasto, dell'opposizione sempre più virulenta al governo Berlusconi, a cui segue quella - non meno virulenta - all'esecutivo Monti. Alla fine, però, la linea della dura opposizione non paga. Anzi, per alcuni dei suoi ex compagni di partito è la causa della fine politica. Una linea troppo aggressiva, ad personam, a tratti anche esagerata (Di Pietro ha più volte paragonato Berlusconi a Saddam Hussein, Hitler, Gheddafi, Mussolini, oltre a definirlo "stupratore della democrazia", il tutto in Aula; a Monti invece ha dato la colpa dei suicidi dovuti alla crisi economica).

Ma le cause della fine di Di Pietro sono molteplici. C'è l'inseguimento-corteggiamento a Grillo, che non ha portato a nulla se non a una erosione dei consensi elettorali in favore del Movimento 5 Stelle e a una scissione interna, capeggiata in primis da Donadi. C'è un altro corteggiamento andato a male: quello di Luigi De Magistris. C'è poi chi, come Nello Formisano, ha spiegato che la colpa più grande di Di Pietro è stata quella di appoggiare alle ultime elezioni Ingroia. Che con la sua linea giustizialista, antiberlusconiana e con i suoi scontri col Pd e i suoi attacchi nei confronti di Giorgio Napolitano ha portato a fondo l'Idv.

E poi ci sono gli scandali relativi ai soldi dell'Idv, agli immobili di Di Pietro (dopo la puntata di Report l'ex pm pronunciò un lungimirante de profundis: "Qui a maggio andiamo a casa: non entriamo in Parlamento. La storia già la conosco. L’Italia dei Valori è finita a Report. Siamo isolati, speriamo che i nostri elettori ci aiutino"), agli indagati del partito (dalla Mura alla Fusco passando per Maruccio), alle spese pazze in Regione Lombardia.

Insomma, l'eco della rumorosa protesta iniziale si è schiantata col silenzio elettorale. La strategia dell'opposizione non ha più funzionato. Così come sembra finito il tempo dei caudillos con la toga. Non per nulla anche il partito di Rivoluzione Civile ha incassato una sonora sconfitta all'ultima tornata elettorale. A niente è valsa la cancellazione del cognome di Di Pietro sul simbolo. Il danno di immagine era indelebile.

E l'ex pm l'ha pagato caro.

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