Politica

La macchina del fango

Repubblica spara a zero contro l'articolo del Giornale sul giudice che ha condannato Berlusconi, ma senza fare verifiche. E questo non è giornalismo

La macchina del fango

La Repubblica, per definizione moralmente e culturalmente superiore a (quasi) tutti gli altri giornali, anche ieri si è distinta con un'operazione che lascia sbigottiti, volendo usare una espressione gentile. Ecco l'antefatto. Sabato, Il Giornale aveva pubblicato un servizio in cui si raccontava, sulla base di testimonianze, che il presidente della Cassazione, Antonio Esposito, alcuni anni orsono partecipò, in occasione della consegna di un premio, a una cena organizzata da un Lions di Verona. Nella circostanza egli si sarebbe lasciato andare a considerazioni negative su Silvio Berlusconi (arricchito da gossip circa le sue performance sessuali) e avrebbe annunciato a due commensali (con un paio di giorni d'anticipo) la sentenza di condanna che avrebbe emesso contro Vanna Marchi.

L'articolo, firmato da Stefano Lorenzetto, già vicedirettore vicario del Giornale a metà degli anni Novanta, forniva vari altri particolari che inquadravano la vicenda in modo tale da renderla assai interessante. Tra l'altro Lorenzetto è unanimemente considerato un giornalista serio e molto scrupoloso, distante anni luce dagli ambienti frequentati dai berlusconiani, cosicché il direttore di questa testata non ha esitato a ospitarne il pezzo con l'evidenza che meritava, data la sua attualità.
Si dà infatti il caso che Esposito sia il giudice che ha recentemente letto in aula il verdetto che inchioda il fondatore del Pdl. Un dettaglio rilevante. Davanti alle rivelazioni da noi pubblicate, come ha reagito La Repubblica? Si è guardata bene dall'accertare se le notizie fossero o no esatte, magari telefonando all'autore oppure interpellando lo stesso magistrato, ma ha caricato il fucile a pallettoni e ha sparato sul Giornale, dando per scontato che quanto da esso riportato fosse una colossale bufala. Peggio, cavalcando un luogo comune scaduto e desemantizzato, ha accusato la redazione di aver rimesso in moto la cosiddetta «macchina del fango» diretta dallo stesso Berlusconi.
La cronista del quotidiano debenedettiano, Liana Milella, per sostenere la propria tesi cita alcuni precedenti che a suo dire dimostrerebbero la nostra vocazione a inventare e/o ingigantire episodi marginali allo scopo di diffamare presunti avversari politici. Per esempio, i calzini color turchese esibiti dal giudice Francesco Mesiano (sentenza Mondadori) in un servizio televisivo di Canale 5 - e non del Giornale (si limitò a riprenderlo) - che costò a Claudio Brachino, responsabile di averlo mandato in onda, due mesi di sospensione dall'Ordine professionale; le dimissioni di Dino Boffo da direttore dell'Avvenire causate dal Giornale, allora diretto da me (fui punito con tre mesi di sospensione); la foto di Ilda Boccassini (ritratta mentre getta a terra un mozzicone di sigaretta), apparsa sulla rivista Chi e non commissionata da noi; infine, le critiche ad Alessandra Galli, magistrato che si occupò di altro processo al Cavaliere.
Il gioco di Liana Milella è scoperto: poiché Il Giornale è di proprietà di Paolo Berlusconi, fratello di Silvio, tutto ciò che mette in pagina è finalizzato a compiacere la «sacra famiglia». Come se noi dubitassimo della veridicità degli articoli della Repubblica solo perché l'editore si chiama Carlo De Benedetti. Ragionamento puerile che, se esteso ai libri, gran parte dei quali editi da Mondadori, costringerebbe a concludere che gli autori dei medesimi (in maggioranza di sinistra) sono domestici di Villa San Martino. Un'idiozia.
L'articolo di Lorenzetto, come tutto ciò che si stampa, può essere sì contestato ma solo dopo averne verificato l'eventuale infondatezza. Il che la signora Milella non si è neanche sognata di fare, forte della convinzione che le toghe abbiano sempre ragione, a prescindere, e che i giornalisti, tranne gli amici suoi, abbiano sempre torto. Un metodo di lavoro inaccettabile e affine a quello della «macchina del fango», che nella fattispecie non è il nostro ma - sottolineiamo - il suo.
Quanto a Lorenzetto, posto che anche lui non è infallibile benché non risulti che sia mai caduto in errore, non è lecito dire fino a prova contraria che abbia sbagliato.

La Repubblica questa prova decisiva non solo non l'ha fornita, ma neppure cercata.

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